È una lunga teoria di gradini e piccoli camminamenti in salita il percorso che, dall’ultima casa in alto di Praiano, porta alla chiesa di Santa Maria ad Castra, sospesa su quella parte del golfo di Salerno che racchiude una visione immaginifica tra Punta Campanella, a raccolta delle isole de Li Galli e protesa verso la sognante Capri, e lo spuntone di Capo d’Orso, mentre lo sguardo si allunga alla dirimpettaia ansa di Costa del Cilento ove resistono nella storia la greca Paestum e la filosofica Elea. Sotto, tra verdi macèri digradanti, sono le bianche terrazze di Praiano raccolte intorno alla maiolicata cupola di San Gennaro; più giù è il mare che, dal tempo dei miti, si infrange su rocce e s’adagia su lembi di sabbia della frastagliata, divina costiera.
A Santa Maria ad Castra ci si arriva dopo una buona mezzora di cammino; per circa 200 anni la campanella di quella chiesa è rimasta muta. Da qualche mese, però, i suoi rintocchi si spandono puntuali nelle ore canoniche, grazie alla presenza di Fratello Alessandro Neves De Freitas giunto in Italia dal Brasile, dove è nato, “per realizzare – come ha sostenuto l’Arcivescovo di Amalfi, Orazio Soricelli, nella lettera di accoglienza – la sua vocazione a un genere particolare di vita consacrata: quella di eremita, nell’antico, annesso convento di S. Domenico.
Santa Maria ad Castra è l’unica chiesa della Costiera Amalfitana a cinque navate formatesi per addizioni e annessa al già citato convento. Ma soprattutto è un luogo di devozione, di fede, di amore degli abitanti di Praiano che sempre l’hanno ricostruita, riattata, portando a spalla, su per la difficile ascesa, tronchi, tegole, pietre, malte e dedizione popolare.
Lungo il cammino si incontra una ottocentesca edicola, in maiolica vietrese, dedicata a San Giuseppe, chiamato “alle mortelle”, perché ai suoi piedi, il lunedì in albis, durante la gita-pellegrinaggio, vengono deposti mazzi di mirto.
Un documento del “Fondo Mansi” conservato alla Badia Benedettina di Cava de’ Tirreni, attesta l’esistenza di questa chiesa, col nome di S. Maria de Gratis, già nel 1439. Ed un altro documento dello stesso anno, conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Amalfi, attesta che l’arcivescovo Antonio de Carlenis dell’Ordine dei Predicatori (domenicano), concede una cappella di quella chiesa al rev. Millorisio Buonocore di Positano.
Della sua origine si racconta in un documento del 1848 dove si legge che “la chiesa fu fabbricata per essersi ritrovata ivi l’immagine della Beatissima Vergine delle Grazie, che attualmente vedesi dipinta in fabbrica sull’altare della navata di centro”. L’immagine, secondo la tradizione, sarebbe stata ritrovata in un rostineto da una donna, della località Cerasuolo, mentre pascolava mucche.
Il primo nucleo risalirebbe al XII sec. e sarebbe stata una cappella rupestre frequentata da eremiti: tanti, in quei secoli, erano gli uomini pii desiderosi di ritirarsi in solitudine per pregare e meditare. Ne sono ampio esempio i numerosi insediamenti rupestri, studiati e raccontati da Adriano Caffaro, e il cui più fulgido esempio è l’Abbazia di Santa Maria de Olearia a Maiori.
Nel corso dei secoli numerose sono state le ristrutturazioni e le aggiunta effettuate all’originaria fabbrica di Santa Maria ad Castra, la prima delle quali ad opera dei Padri Domenicani, insediatisi nel 1599, che nei primi anni del 1600, aggiunsero altre due navate a quelle già esistenti. E da quel lontano anno di insediamento dei Padri Predicatori di S. Domenico, ogni anno il 4 agosto, giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia il Santo spagnolo, a Vettica, sull’ampia terrazza antistante la chiesa di San Gennaro si svolge il rito della luminaria: quattromila candele illuminano la notte di Praiano, uno spettacolo d’arte e di suggestioni.
Accanto alla chiesa montana, vi era, ovviamente, il convento dotato, tra l’altro, di un “palmentum et labellum” per la pigiatura delle uve e la raccolta del mosto. Precedenti all’arrivo dei Padri Domenicani, sono alcuni degli affreschi riportati, oggi, ad antico splendore, tra i quali una crocifissione datata 1565. E ci sono alcuni affreschi che si fanno risalire al ‘400, come si rileva da numerosi elementi decorativi, quali la foggia degli abiti dei figuranti ad una processione per grazia ricevuta, forse componenti delle ricche famiglie locali Sorrentino, Gallo, Capriglione, Gagliano, Apuzzo, Merolla, Russo. Di certo il legame dei praianesi con questa chiesa alta sui monti è storia secolare, tant’è che il nobile Pompilio Gagliano, utriuscque iuris doctor, signore della terra di S. Mauro nel Cilento, versava una elemosina annuale per l’accensione della lampada ad olio, quale ringraziamento per essere sopravvissuto alla peste del 1656.
Ma ritornando agli affreschi, di notevole imponenza è quello presente nel catino della navata più antica dove è rappresentato il Cristo Pantocratore e, nel registro inferiore, la Madonna delle Grazie assisa in trono, contornata da due angeli e affiancata da due Santi: San Luca e San Gennaro, rispettivi patroni delle due chiese nei due villaggi che compongono il paese: Vettica Maggiore e Vettica minore. E qui, a Praiano, i campanili fanno comunità, tanto che ce ne sono due (di quelli principali), uno per la chiesa di S. Luca a Praiano ed un altro per la chiesa di S. Gennaro a Vettica. Questo perché, dicono in giro con filosofia tutta meridionale, il sole sorge a Praiano e tramonta a Vettica. E inoltre un vecchio adagio recita: «se vuoi viver sano, la sera a Vettica e la mattina a Praiano».
Una chiesa antica, dunque, quella di S. Maria ad Castra di cui si pensava di sapere ormai tutto e che aveva subito anche lavori di ripristino e ristrutturazione della sua bellezza architettonica ed artistica. Invece, qualche anno fa, uno studio attento degli alunni del Liceo scientifico “E. Marini” di Amalfi, allora preside lo storico Giuseppe Gargano, nell’ambito del progetto “Insediamenti monastici e conventuali” promosso dalla Soprintendenza BAP di Salerno per la “Settimana della Cultura”, giunse ad una scoperta quantomeno sorprendente: alle spalle dell’immagine di San Luca, in cartiglio, compare una scritta frammentata che però ben poté leggersi: “Iacobus Fratrum Minorum Ordinis Calendis Pridie Iu(nii)”. Dunque un frate minore conventuale di nome Giacomo avrebbe dipinto l’affresco il 31 maggio (allora festività della Madonna delle Grazie) di un anno dell’ultimo quarto del XV sec. Subito il pensiero va a quella icona d’altare della chiesa dell’Annunziata a Minuta di Scala, ora esposta al Museo Diocesano di Amalfi, che, secondo il protocollo notarile di Petrillo Crispo di Ravello, fu realizzata nel 1471 da Giacomo de Pansco pittore di Praiano. Una scoperta, quindi, che sottolinea anche la presenza, in quel convento, dei frati minori ai quali si deve la cura del culto alla Madonna delle Grazie, prima dei domenicani.
Una piccola, ma importante scoperta, questa degli alunni del liceo amalfitano, che va ad arricchire la storia di fede, d’arte e amore dei popoli di questa costa, per tanti versi, divina.
Al di là di ogni campanile una cosa, però, accomuna ed ha accomunato nei secoli la gente di Vettica e di Praiano: l’attaccamento filiale verso la chiesa di S. Maria ad Castra, con annesso convento di San Domenico sull’omonimo monte che domina i due borghi costieri. E i praianesi non hanno mai abbandonato quel complesso religioso lassù, in alto, più vicino al cielo che alla terra: nel corso dei secoli si sono sempre adoperati per risanare le ferite che gli anni e le contrarietà atmosferiche gli hanno provocato.
Finita l’epoca degli antichi mestieri, il turismo ha occupato anche gli spazi di Praiano e d’estate è un brulicare di gente, soprattutto nella parte bassa, a Vettica.
Su a Praiano, però, continua a regnare una certa pace e il silenzio. Sostare avanti alla chiesa di San Luca una sera d’estate e affacciarsi sul sottostante tratto di mare racchiuso tra il Capo di Conca e Positano, si può ancora scorgere qualche timida lampara al largo della Praia in cerca di un buon pescato nel complice raggio di luna.
Ma nonostante il silenzio della sera a Praiano non si ode più il frinire dei grilli. Chissà perché da Praiano e dalla Costiera Amalfitana son scomparsi i grilli e le cicale.
Vito Pinto