Dopo una settimana di canzoni e provocazioni e l’invito a non trasformare le convinzioni in convenzioni, dedichiamo qualche minuto a riflettere sulla liturgia della Parola di questa domenica, che invita a pronunciare un sì alla vocazione cristiana.
Sono stati sette giorni, quelli appena trascorsi, di parole e di musica. Per la verità più parole che musica per cui veramente armonico è risultato più il discorso di Mattarella al Parlamento che lo ha rieletto presidente, un discorso non gridato, ma denso nel denunciare i problemi che assillano il paese e nel proporre alcune soluzioni. Egli lo ha declamato cadenzando la sua “litania” sulla dignità da garantire a lavoratori, donne, giovani, fanciulli, bisognosi, un laicissimo discorso dal quale traspare un vero decalogo cristiano.
Intanto l’opinione pubblica per sette giorni ha dimenticano i problemi della pandemia e le incognite dell’economia per ascoltare prima ed accalorarsi poi nel commentare e nel giudicare le proposte canore del gotha della musica leggera italiana. Sul palco si sono succeduti molti professionisti dell’anticonformismo, camuffati da finti rivoluzionari hanno scandalizzato reazionari conformisti. Ma i loro gesti e le loro parole hanno confermato la loro incapacità di elevarsi: abituati ad osannare il mal di niente hanno scimmiottato ritualità delle quali non conoscono il significato. Vero merito della settimana canora è conoscere lo spaccato profondo della società italiana, il suo evolversi, le sue aspettative ed i suoi problemi. Ad esempio, l’analisi dei testi vede prevalere la parola amore costantemente collegata, non come si può immaginare e come era nella prassi, col termine amore, preferendo la rima con dolore per la interminabile teoria di situazioni problematiche che suscita. Un messaggio condivisibile lo ha fornito chi in modo intelligente e convincente ha invitato a non confondere le convenzioni racchiuse nella ritualità canora con le convinzioni profonde della vita.
Mi permetto allora si invitare a sfogliare, se non lo si vuol leggere, l’ultimo libro di papa Francesco “Buona vita. Tu sei una meraviglia”. Il titolo è tutto un programma perché il saggio è un vademecum per realizzare e gustare questa meraviglia affidandosi alla luce che illumina i passi di un pellegrinaggio verso la felicità. Ciò diventa possibile se si è disposti a vivere una esperienza che va oltre il circoscritto limite dell’uomo, insegue le verità più alte e belle consapevoli che in noi alberga il seme dell’Assoluto. Per coerenza non rimane allora che alzarsi per evitare di rimanere schiacciati a terra, bloccati dall’eco di voci che inneggiano solo all’odio, pronti a seguire l’anelito di amore che genera vera felicità. Così non solo si sogna un mondo nuovo, armati di coraggio, senza percepirsi superiori a nessuno, facciamo la nostra parte, disposti ad alzarsi e ripartire se abbiamo sbagliato. Questa è la buona vita, che fa del sogno dell’amore il nostro credo.
E’ la missione evangelica di Gesù, il quale chiede a tutti aiuto per realizzarla. Ecco perché propone di diventare “pescatori di uomini”. Ciò implica da parte nostra la disponibilità a calare una scialuppa nel mare procelloso della vita per aiutare gli altri senza atteggiamenti di superiorità perché ogni cristiano prima deve essere pescato, come è capitato più volte a Pietro, pecorella smarrita ripescata. Pescatori e pastori, immagini che richiedono una spiegazione per non cozzare con la nostra sensibilità, che potrebbe ritenerle poco rispettose della dignità dell’uomo. Infatti, a nessuno piace essere pescato o sentirsi annoverato in un gregge. Occorre considerare però, che se pescatore e pastore di solito cercano il proprio utile, nel vangelo prestano un servizio pronti a dare la vita, senza evocare idee di superiorità. Perciò, i cristiani sono solo i collaboratori della gioia dei fratelli, pronti a far cenno ai compagni cercando il loro aiuto, coscienti che ogni autentica conversione è la storia di un passaggio da pescato a pescatore. Del resto, essere cristiani non significa conoscere una dottrina, ma seguire una persona per realizzare un progetto di vita. Quindi, per essere pescatori di uomini occorrono due condizioni: la radicalità del distacco, disposti a lasciare se necessario ogni cosa, rinunciando alla sicurezza e seguire Gesù non per superficiale entusiasmo, ma dopo una personale e autentica esperienza di Lui.
Come ha proposto la liturgia della parola di domenica scorsa, è la scelta di Isaia che, abbagliato da Dio, chiede di essere mandato, è l’obbedienza carica di fiducia di Simone, che si fida delle parole di Gesù e cala le reti nonostante l’esperienza del suo lavoro gli dimostrasse il contrario. La pesca miracolosa diventa metafora dello sforzo dell’uomo: senza Cristo è fallimentare, con Lui è abbondante.
Anche noi tante volte abbiamo faticato e combinato poco. Perché? Probabilmente abbiamo confidato troppo in noi stessi. Cosa avremmo fatto al posto di Pietro? Nonostante tutto, egli esclama: “Sulla tua parola calerò le reti”. Si fida del Maestro. Ecco perché riceve il premio: Gesù lo chiama. Il vangelo insegna che dobbiamo credere alla Parola di Cristo, fidarsi di Lui perché invitati non solo a seguirlo, ma ad essere anche pescatori di uomini, coinvolti nella sua missione proclamare il messaggio, come Paolo: liberi dentro, distaccati dalle cose materiali, confidando con umiltà nell’aiuto del Signore.
Sulla barca dove sale Gesù non si sentono discorsi ispirati, prevale il suo sguardo su uomini che si sentono amati e percepiscono la loro vita al sicuro accanto a Lui perché dal suo sguardo traspare la forza del giusto. Si fidano e le reti si riempiono, fatto prodigioso che aiuta Pietro a riflettere. Allora il timore s’impadronisce di lui, è consapevole che occhi indagatori possono guardare dentro il suo animo; si proclama peccatore, confessione non richiesta, perciò non determina rimproveri o commenti. Il Maestro non è interessato ai peccati del pescatore: il passato di Simone è andato per sempre, Gesù guarda solo le azioni che generano futuro; perciò invita a donare la vita divenendo pescatori di uomini. Delicatezza di un maestro di umanità! La sua sapienza incanta chi lo ascolta. Egli non comanda, conforta, sollecita a non temere, libera dalla paura, fa fiorire nei cuori il domani infondendo coraggio. Infatti, degli uomini Egli non considera i fallimenti, ma le potenzialità messe a frutto. Ecco perché quei pescatori “lasciarono tutto e lo seguirono” senza porsi domande su dove li avrebbe condotti.
E noi? Crediamo veramente alla parola di Cristo, ci fidiamo di Lui? Lo trasformiamo in nostra guida? Abbiamo sperimentato un incontro vivo e vivificante con Lui? Ci ha veramente affascinati? Lo troviamo nella meditazione, nella preghiera, nell’impegno quotidiano?
Un sì a questi quesiti è la felice mappa per la Buona Vita, programma che papa Francesco ha confermato nell’intervista di domenica sera quando ha sollecitato di affrontare le esperienze quotidiane con un pizzico di umorismo e pregare come fanno i bambini. Quando si rivolgono ai papà, li sommergono di domande non tanto per sentire risposte, ma per percepire che sono presenti, attenti e partecipi. Così ci si sente rivolgendosi a Dio Padre, rassicurati e pronti per il pellegrinaggio della vita.
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