È antica consuetudine preparare, ogni anno, il Presepe nell’avvicinarsi delle feste natalizie ed è sempre un gran da fare per l’allestimento di quella narrazione che, alla fine, nella tradizione napoletana, è un racconto, una rappresentazione teatrale sospesa tra fede e quotidianità.
Nella maggior parte delle famiglie, una volta, il presepe era allestito con statuine in terracotta, decorate a freddo, da abili pastorari. Una passione, più che un mestiere, cui si applicò anche Salvatore Ingenito, amalfitano, di professione “scrivano” e per lungo tempo dipendente della Banca Camera di Amalfi. Quando questa chiuse i battenti, Salvatore si dedicò anima e corpo alla pittura e all’arte presepiale con particolare riferimento alla modellazione e decorazione di pastori.
Salvatore Ingenito era nato nel 1888 e il rapporto con i pastori lo ebbe sin da piccolo, quando suo padre lo portava a Napoli, a S. Gregorio Armeno, già allora via famosa per le sue botteghe di pastorari: un incanto per le minuscole statuine e le costruzioni “di sogno”. Allora fu naturale che Salvatore realizzasse pastori della tradizione che raccontano la vita del suo tempo; figure straordinarie per il modo in cui sono state realizzate: ognuna era singolarmente modellata nella creta, niente stampo in gesso, nessuna ripetitività statica, ognuna una creazione pre-definita per il ruolo che doveva svolgere e il posto che avrebbe dovuto occupare. Veri capolavori! Ricordando il nonno, Teresa Ingenito diceva: «Lo guardavo mentre con le sue mani sapienti plasmava, modellava con delle semplici stecche d’osso i suoi piccoli capolavori». Salvatore Ingenito non aveva un forno per cuocere l’argilla e così cuoceva i suoi pastori sulla brace di carbonella, perché la cottura fosse lenta, misurata e non eccessivamente viva come quella con i carboni.
E preparava il Presepe di casa, inchiodando tavole con la punta dei chiodi verso l’alto sulle quali andavano collocate le candele.
La decorazione era con pitture a freddo, così come si usava nelle botteghe di allora. «Il colore da dare a ognuna delle sue creazioni – ricordava ancora Teresa – e la scelta delle tinte, dei vari toni, non era affatto casuale, né facile e impegnava a fondo la fantasia del nonno. Egli era talmente in sintonia con la sua attività da riuscire a dare ad ogni statuina l’atteggiamento giusto: l’espressione del viso conferiva un tocco vitale e rendeva le sue creazioni davvero pregiate.» E a guardare quelle figure in posa, si scopre che dentro ognuna vi è un racconto di fede, un momento di vita, un battito di cuore, un soffio d’anima dell’artista.
Così, giorno dopo giorno, Salvatore Ingenito creò il suo popolo del presepe, nel quale non manca nessuno: decine di statuine conservate nell’antica “cristalliera” di famiglia. C’è la banda dei musicanti e i tre re magi, il pastore della meraviglia e Ciccibacco, Benino, pastore dormiente, e lo “strologo” del paese, il re Erode e tutto quel popolo napoletano indaffarato a fare “mmuina” che Matilde Serao definì “l’economia del vicolo”.
Ma la raffinatezza d’animo e la capacità artistica Salvatore Ingenito le mostra nel gruppo della natività: la Madonna, di nobili fattezze e fattura, è in tenera adorazione del Figlio adagiato in un cesto ricco di merletti; San Giuseppe, ritto e appoggiato al suo bastone, fissa lo sguardo sulla madre-sposa e il figlioletto, conscio di essere protagonista di un evento fuori da ogni logica umana.
Magia di questi pastori! La sintesi è nella statuina del bambino che offre un maialino avanti alla grotta: è qui il vero messaggio natalizio, perché, alla fine, è la gente più umile e povera ad avere la capacità di essere solidale con gli altri, di saper offrire i suoi doni, per quanto semplici possano essere.
Salvatore Ingenito, pastoraro, lasciò per sempre i suoi affetti, le sue statuine, il suo mondo il 18 dicembre 1943, dopo aver preparato l’ultimo presepe con i suoi pastori di creta, cotti sulla carbonella.
Vito Pinto