Risale all’inizio del sesto secolo un importante documento in grado di spiegare eventi e situazioni economico–sociali oltre che religiose del nostro territorio. È la 33^ lettera dell’ottavo libro delle Variae di Cassiodoro, vissuto nel VI secolo d.C. e ministro di Teodorico: all’imperatore viene chiesto di intervenire in merito alla fiera del 26 di settembre, il giorno di San Cipriano.
La fiera si teneva nei pressi del Battistero di San Giovanni in Fonte, nella località Marcellianum, tra Sala Consilina e Padula, dal quale possiamo far cominciare in maniera documentata l’avvio del processo di cristianizzazione della zona.
Per certi aspetti Marcellianum è unico al mondo ma, ad eccezione degli esperti d’arte e di architettura, fino a trent’anni fa pochi lo conoscevano e quei pochi lo identificavano come “il posto delle trote”. Stiamo parlando del Battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte, situato a poca distanza dalla Certosa di San Lorenzo che, in pratica, segna il confine tra Padula e Sala Consilina. Anticamente, invece, faceva parte del borgo di Marcellianum, che a sua volta dipendeva dalla Civita di Cosilinum (oggi Padula e non Sala Consilina come si potrebbe credere) nella regione della Lucania e dei Bruzii. Fu chiamato così in onore di Papa Marcello che nel corso del suo breve pontificato (308-309) riprese il difficile progetto di dare una organica sistemazione religiosa al territorio, interrotta dalla feroce persecuzione di Diocleziano. Papa Marcello istituì nuove diocesi, nominò altri vescovi e favorì la costruzione di un battistero per ogni diocesi. Questo significa che la diocesi che porta il suo nome fu tra le prime ad essere istituita ed il battistero uno dei primi ad essere costruito.
L’unicum di questo monumento è rappresentato dal fatto che la vasca battesimale non era riempita artificialmente o manualmente, come di solito avveniva negli altri edifici, ma riceveva l’acqua in maniera del tutto naturale in quanto realizzata su una sorgente: questo rende il San Giovanni di Marcellianum unico nel mondo della cristianità.
Il fatto, già singolare, diveniva miracoloso quando ogni anno puntualmente, durante la notte di Pasqua, riservata ai battesimi, la sorgente si gonfiava e l’acqua riempiva la vasca. Il prodigio richiamava folle di fedeli sempre più numerosi, desiderosi di assistere al miracolo delle acque. Proprio questo prodigio faceva di Marcellianum un luogo santo, meta di pellegrini in cerca di segni.
Particolare attenzione al battistero ha sempre prestato mons. Bruno Schettino, vescovo di Teggiano-Policastro dal 1987 al 1997, il quale ha sempre considerato San Giovanni in Fonte il cuore della diocesi perché “da quelle acque battesimali è nata la nostra fede ed è lì che ha preso corpo l’entusiasmo dei primi cristiani di questo territorio. Recarsi lì, pensare, pregare, significa riscoprire le motivazioni profonde del nostro essere cristiani radicati sul territorio”.
Nel corso dei secoli il battistero ha subito diverse trasformazioni per cui non è possibile avere dati certi sulla forma originaria.
Le notizie arrivate fino a noi attraverso gli scritti di Cassiodoro non rispondono ad alcuni interrogativi e, principalmente, alle motivazioni che indussero a creare una diocesi in un luogo lontano dai grossi centri e, quindi, a bassa densità abitativa. Tali interrogativi sono stati riproposti da Alfonsina Medici in un saggio di alcuni anni fa dal titolo “Le acque sacre di San Giovanni in Fonte”. In particolare, l’autrice ipotizza che “proprio la presenza dell’acqua sia alla base della decisione di farne la sede di una diocesi. Altro fattore determinante fu che in quel luogo esisteva già un culto pagano sviluppatosi intorno alla sorgente, dedicato alla ninfa Leucotea (la dea bianca), alla quale la popolazione lucana aveva innalzato un tempietto votivo. Del resto, impiantare l’edificio sacro su quello pagano equivaleva, da parte della chiesa, non solo a neutralizzare residue resistenze della precedente religione, ma anche a rendere visibile il trionfo del cristianesimo in un clima di evoluzione più che di rottura”.
Oggi il battistero si segnala all’attenzione degli appassionati d’arte per i resti di alcuni importanti affreschi e, in particolare, per i volti dei quattro Evangelisti che, staccati dalle pareti furono trasferiti nella vicina Certosa di San Lorenzo. La storica dell’arte Letizia Gaeta durante il periodo in cui ha lavorato nel Vallo di Diano ha valutato come “epigoni della tarda romanità e, al tempo stesso, prototipi dei modelli cristiani che si affermeranno più avanti”. Alfonsina Medici li cataloga per età: due sembrano appartenere ad individui giovani con grandi occhi rotondi e dilatati mentre gli altri due presentano volti più adulti e presentano caratteri diversi. Il tutto lascia pensare che i quattro evangelisti siano stati dipinti da due artisti diversi, uno più conformista, vicino alla classica produzione catacombale; l’altro più aperto ad una produzione di tipo naturalistico. In questa sede non vanno sottaciuti i meriti della Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno che anni addietro ha realizzato un importante restauro conservativo essenziale. Ora, però, è auspicabile che si trovi la possibilità di effettuare altri interventi atti a valorizzare ed a far conoscere ulteriormente il monumento e l’area circostante.