di Prospero Albertini Conosco Raffaele da tanti anni. Insieme abbiamo girato, in auto per lavoro, lui geologo io fisico, buona parte della Campania e del Molise, particolarmente in tempi in cui le autostrade e le superstrade erano poche e si percorrevano le vecchie nazionali o provinciali nei loro tortuosi tracciati immutati da secoli e con i loro attraversamenti di abitati e le lunghe attese ai passaggi a livello. Abbiamo visto modificarsi man mano i tracciati, i paesaggi e anche gli usi e i costumi delle campagne, in particolare i vestiti e i cibi. Sono praticamente scomparse le donne vestite di nero, gli uomini con la giacchetta ed il cappello, gli animali da tiro. Lo spostamento era lento lungo le strade che seguivano spesso pigramente i crinali, quindi era lungo il tempo passato insieme in macchina e allora si parlava e si parlava. Ma di che cosa? Un po’ di tutto, in particolare Raffaele, gran parlatore, raccontava della sua terra di origine, Roccadaspide, o meglio il Cilento, e della vita che vi si svolgeva. Non so fino a che punto il suo era un comunicare ad altri quel mondo ormai in via di scomparsa, che lui, com’era evidente, amava e che voleva quasi trattenere partecipandolo ad altri, e fino a che punto era il suo rivivere ad occhi aperti, non tanto la sua giovinezza, quanto un mondo antico che sentiva perdersi e scomparire. Comunque, i suoi racconti, scene di vita, di usanze e di costumi e non considerazioni, paragoni o moralismi e filosofie, mi prendevano completamente, mi facevano vivere quella realtà sconosciuta come se fosse presente; ne rimanevo immerso e, si potrebbe dire, coinvolto. Ero anche io presente in quel che raccontava e a volte mi sorprendevo quasi a ragionare e a sentire in sintonia con gli antichi compaesani. Questa è la potenza quasi ammaliante del modo di raccontare di Raffaele; anche adesso io penso a quel mondo non come una realtà esterna, come quando si vede un film o si legge un libro, no, anche io ho vissuto un po’ in quel paese e quella è stata un po’ la mia realtà, il mio vissuto. Io non sono un letterato o un critico, non so se il lavoro di Raffaele, volutamente scritto in un linguaggio “parlato”, sarà considerato valido, specie da parte dei “dotti”, e se sarà riuscito a trasferire in scritto le emozioni che trasmetteva con la parola, ma sono sicuro che chi leggerà le sue immagini di vita non potrà fare a meno di essere anche lui trascinato in quell’antico affascinante mondo.
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