Le cartelle esattoriali, specie quelle salate, fanno paura ed il rischio è quello di farsi prendere dal panico, finendo per pagare soldi che non sono dovuti. Esistono infatti diverse circostanze in cui una cartella esattoriale non deve essere pagata. Proviamo ad osservarne qualcuna nel dettaglio.
Innanzitutto è possibile che la cartella esattoriale che riceviamo si riferisca a crediti ormai prescritti: la prescrizione varia a seconda del tributo (crediti erariali, tributi locali, contributi, multe ecc.), ma resta il fatto che, prima di pagare, è sempre doveroso calcolare quanto tempo è trascorso dall’ultimo atto ricevuto, visto che ogni successiva notifica di cartella o intimazione di pagamento interrompe i termini di prescrizione.
A ricordarcelo il portale La Legge per Tutti, secondo cui un altro aspetto da tenere in considerazione è la presenza effettiva di atti precedenti la cartella esattoriale. La quale è solo l’ultimo atto di un procedimento amministrativo più complesso. E deve necessariamente partire con un avviso di accertamento o una richiesta di pagamento da parte dell’ente titolare del credito. Senza la notifica di uno di questi atti precedenti la cartella è da considerarsi nulla nella stragrande maggioranza dei casi. La verifica può essere fatta con una richiesta di accesso agli atti amministrativi presso l’Agente della Riscossione, che ci dovrà rispondere entro 30 giorni.
È infine possibile appellarsi al cosiddetto “vizio di motivazione”. La cartella di pagamento deve infatti indicare le ragioni per cui viene emessa.
E non può richiamare un atto precedente senza specificare a quale tipo di tributo e/o sanzione esso si riferiva al momento della notifica. La cartella deve inoltre specificare quando esso è stato notificato ed a quali annualità esso si riferiva.
Le richieste di annullamento in autotutela possono venire presentate direttamente all’Agente della Riscossione ed all’ente titolare del credito. Ma le risposte non sono assolutamente scontate ed è sempre bene tenere a mente il calcolo dei termini per l’impugnazione.
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Fonte: lentepubblica.it