La “Serra d’artista” è in fase di costruzione e viene interamente realizzata con materiali sostenibili e riciclabili, quali il legno e il vetro. La serra è pensata come uno spazio versatile al cui interno possano svilupparsi installazioni fotografiche, proiezioni video e/o azioni performative; un’installazione attraverso cui innescare processi creativi, suscettibile di diventare un incubatore per l’artista stesso, e per nuove forme espressive.
La serra è una costruzione temporanea e soprattutto nomade, che continuerà a viaggiare in territori limitrofi, cambiando di forma.
Un’installazione pensata per non intaccare il paesaggio circostante in maniera permanente, che va a iscriversi all’intero del paesaggio visivo. È dunque pensata come il pezzo di un’installazione più complessa che si articolerà nel tempo, di pari passo con il lavoro fotografico che continuerà in altre aree designate della Piana del Sele.
Il progetto Serra d’artista
Da un anno e mezzo sto documentando, attraverso la fotografia, il paesaggio della Piana del Sele. La ricerca ha dato origine alla creazione di una “Serra d’artista”, un progetto site-specific che intende accogliere parte della mia personale produzione artistica inerente gli sviluppi delle ricognizioni sul campo della vasta area di Capaccio-Paestum, Gromola e Battipaglia. La serra è uno spazio destinato ad accogliere parte della raccolta di frammenti del territorio e dei suoi campi, con uno sguardo all’economia agraria, all’impatto antropico sull’ambiente, alle trasformazioni dei contesti abbandonati come effetto della lenta stratificazione dell’attività agraria e all’ibridazione delle aree urbane con le zone coltivate. Si tratta di una ricerca lenta, attenta ai cambiamenti del paesaggio e alle pratiche di coltura agricole inquinanti.
Durante le mie ricognizioni è emersa reiteratamente la figura spaziale della serra, che ho quindi designato come oggetto estetico di ricerca plastica per le sue caratteristiche di spazio artificiale e controllato. La serra è stata ideata come luogo di incubazione dove far crescere l’artista, in cui egli possa mettere al centro della propria pratica, uno spazio intimo di trasformazione. Essa, inoltre, vuole offrirsi come punto privilegiato di osservazione sul paesaggio della Piana del Sele.
La ricerca è probabilmente una peregrinazione intima, attraverso cui cerco di innescare un dialogo con il posto in cui vivo. Scorgendo sentieri boschivi, distese di prati e seguendo i percorsi fluviali, fino ad arrivare alle libere spiagge in cui il Sele trova sbocco, l’indagine ha seguito l’alternarsi delle stagioni, attraverso cui ho potuto registrare le trasformazioni dei campi, il rinnovamento delle colture, la varietà delle piantagioni, la lavorazione degli scarti o semplicemente il loro abbandono. Sono così emersi i mutamenti e le alterazioni del paesaggio.
L’esperienza delle numerose ricognizioni mi ha portata a maturare l’idea che la serra potesse costituire la metonimia, la giusta sintesi visiva, del paesaggio percorso. Infatti, l’intero territorio è segnato da una continuità di serre, che si iscrivono nell’ambiente. La serra incarna il corpo delle mie esperienze di attraversamento.
Vi-vaio e pandemia
A causa della crisi pandemica iniziata lo scorso anno, è venuto fuori un lavoro che si è avvalso della sinergia di alcuni produttori della Piana del Sele: ho sviluppato alcune delle immagini del mio progetto documentaristico sui campi coltivati attraverso un antico procedimento di stampa, l’antotipia, sfruttando la capacità fotosensibile di alcuni fiori per ricavarne delle emulsioni e stampare le mie foto. Per fare ciò ho pensato di recuperare la produzione di fiori e piante destinate al macero, che in quel periodo, a causa della pandemia, non hanno potuto raggiungere il mercato. Alcuni produttori florovivaisti della Piana del Sele hanno appoggiato la mia iniziativa, facendomi pervenire una parte simbolica di quei fiori a casa. Ho dunque trasformato i fiori in colorante per produrre un’opera pittorico-fotografica ecosostenibile. La portata dell’opera è concettuale, e mira alla restituzione di una traccia visibile, anche se effimera, di ciò che è andato perduto, a testimonianza di un’epoca tanto critica e sconvolgente.
L’opera intitolata “Areale” è un’installazione multimediale mista composta da pezzi di semenzai in polistirolo in un dispositivo immaginario che presenta le fotografie scattate durante questi ultimi due anni.