“Nenna mia”, (bambina mia) partivamo alle 3 di notte e facevamo 3 ore di cammino per arrivare sulla montagna di Roccadaspide e iniziare la raccolta delle castagne; con le bacche di castagno facevamo dei forchettoni che servivano per aprire i ricci, poi le castagne venivano radunate e mosse spesso per farle asciugare bene, in attesa delle mulattiere (carretti dell’epoca) che le avrebbero portate a destinazione. Eravamo sempre sotto il controllo della caporala e venivamo aspramente rimproverate se lasciavamo qualche castagna lungo il tragitto. E poi non c’era carta e penna per segnare i giorni di lavoro e allora si prendeva una bacchetta di castagno e si spezzava in due, una metà rimaneva alla bracciante e l’altra al caporale: a fine lavoro le bacchette ricongiunte rappresentavano i giorni di lavoro svolti”.
Questo racconto non è di tempi lontani, appartiene alla cultura orale, viene ancora fatto dalla nonna alla nipote. Così come altre storie di briganti e gendarmi che si combattevano lungo la strada che qui si narra. Le strade, la rottura dell’antico isolamento, il permanere dell’idea di Rocca o il suo superamento, restano i caposaldi della sua storia comunitaria. La strada più importante è del Settecento. E ci vollero trent’anni duro lavoro per averla. Nel Settecento la principale via di accesso a Rocca d’Aspro era a valle del paese e consisteva in una ripida viuzza che, partendo in prossimità del Convento Francescano, s’inerpicava fino al Castello. Venute meno le ragioni che nel medioevo avevano indotto gli abitanti a trovare riparo tra le colline e i monti, fu deciso di realizzare una nuova strada carrozzabile che, partendo dal Castello, col taglio delle rocce dello Scanno e della Difesa Santa Maria, solcasse a mezza costa la montagna, passando per Tuoro e Pedaline, fino a raggiungere Seude di Capaccio. La strada fu inaugurata il 15 settembre del 1728, così il Principe poteva raggiungere più comodamente, con l’uso della carrozza, il Castello di Rocca. Nel tempo stesso si crearono le condizioni per lo sviluppo e il progresso della comunità rocchese, da troppi secoli isolata entro le mura cittadine. All’eccezionale intervento, che rese necessario un profondo e ampio squarcio nel costone roccioso, partecipò con impegno tutta la popolazione del nucleo abitato. A ricordo dell’immane lavoro compiuto in località Scanno, fu scolpita nella roccia un’iscrizione latina nella quale sono menzionati lo sforzo compiuto, le finalità dell’impresa e la testimonianza di attaccamento della cittadinanza al proprio Principe. L’ultimo intervento strutturale sulla ex Nazionale, ora Provinciale 166, che da Fonte s’inerpica fin nel paese viene addirittura attribuito agli… americani che nel 1943 dovendo raggiungere il paese con i loro mezzi (carri armati, camion, ecc.) si fecero largo da soli con i loro bulldozer e dietro di loro lasciarono …una strada più comoda e larga.
Una, due… dieci Roccadaspide diverse. Paese caleidoscopicamente interessante, di antica civilizzazione e di rapporto profondo con le risorse naturali presenti. Di un’agricoltura che conferisce ancora sapori forti ai suoi prodotti, Il paese dei bottegai e degli affari che partono dai capitali delle castagne. Il paese dei rivoluzionari dell’Ottocento. Il paese che presenta un Castello e delle chiese che definire “pretenziose” è poco. Bella e suggestiva l’area montana popolata di alcuni paesetti, che noi trovammo – da sempre – assai suggestivi.
Meritano menzione gli stupendi paesaggi che circondano Roccadaspide con i suoi castagneti. Famosissimo il “marrone” di Roccadaspide prodotto Igp. Esso si distingue dalle altre castagne per le caratteristiche di forma e dimensione del frutto, ma anche per le qualità organolettiche che ne facilitano la conservazione.
Parto di nuovo alla volta del Sud, verso quel Cilento di cui si parla spesso. Ma non dimentico di visitare il castello medievale. Attualmente è di proprietà di privati. Si tratta di persone gentili che acconsentono alla sua visita. Il maniero, che nei secoli ha subito varie aggiunte e trasformazioni, si presenta in ottimo stato di conservazione, ha un perimetro di 400 metri ed è costituito da 33 stanze e 7 torri di cui 2 quadrangolari e 5 cilindriche. All’interno delle mura del castello sono inoltre presenti degli ambienti un tempo adibiti a prigioni e camera dei supplizi nonché i giardini della Corte. È certo inoltre che in epoca feudale, intorno al castello, vennero erette varie strutture caratteristiche del periodo medioevale quali una cinta muraria, torrette di avvistamento, un ponte levatoio in legno, una cisterna, due porte artistiche dalle quali si accedeva al centro urbano, il macello della Corte, depositi, capannoni, recinti per animali, la vigna della Corte e tante altre di cui rimango soltanto poche tracce. Un cenno necessario meritano i ruderi del Convento dei Carmelitani, sito su una collinetta isolata, in posizione leggermente sopraelevata rispetto al paese a circa un chilometro dal centro urbano. La sua funzione principale era quella di custodire le tombe delle famiglie nobili rocchesi e l’ossario comune. Sempre nell’ambito della politica anticlericale perseguita dal governo napoleonico, il convento venne chiuso nel settembre 1809, ma la relativa chiesa rimase aperta al culto ancora per qualche tempo prima di essere in seguito affidata al Comune. Il convento, ora in rovina, fu demolito negli anni 50 del XX sec. e le pietre furono utilizzate per costruire le strade rurali del comune. La struttura era costituita da numerosi edifici tra i quali una chiesa con nove cappelle, un refettorio, un chiostro e altri luoghi comuni di lavoro. Il vero rocchese non dimentica la Chiesa della Natività di Maria, attuale chiesa madre, è situata su un’altura che domina la piazza principale del paese, fu edificata nel 1608 nei pressi dell’allora Monastero di clausura di S. Elisabetta; la chiesa presenta delle finestre solo sul lato sinistro proprio a causa del fatto che il lato destro venne costruito adiacente al Monastero di clausura. La chiesa è stata più volte restaurata e modificata nel corso dei secoli, il più importante di questi interventi si ebbe nel 1862 ad opera del parroco Francesco Antico, che trasformò la base della chiesa a croce latina. La chiesa fu gravemente danneggiata dal terremoto del 1980, è stata restaurata e riaperta al culto alla fine degli anni ’90. Di particolare interesse sono il portale di bronzo (collocato dopo il restauro degli anni ’90), il campanile con l’orologio e le sacre suppellettili custodite all’interno della chiesa tra le quali ricordiamo una tela ad olio raffigurante l’Immacolata concezione ritenuta un’opera giovanile di Giovanni Battista Caracciolo detto il Battistello e datata in torno al 1607 circa nonché le statue di Santa Sinforosa e San Getulio che ne contengono le rispettive reliquie. Ma il capitolo della santa protettrice è molto ampio ed io rimando a un recentissimo volume che sul tema raccoglie gli studi del cultore Franco Iuliano.