È un catalogo frutto di un’indagine preliminare sul territorio per dare vita alla quarta mostra dedicata a quest’area proponendo una sequenza che dal Medioevo arriva al Settecento. La produzione artistica trova il suo momento unificante nel fatto di appartenere a paesi, parrocchie, case private dell’antica diocesi di Capaccio. Ritornare al Cilento ha senso nell’era del villaggio globale? La risposta è decisamente affermativa se si è pronti per un pellegrinaggio con lo scopo di abbeverarsi alle radici del cuore umano e scoprire le ragioni di una identità attraverso la meditazione del bello, segno e simbolo di cosa è capace l’uomo quando, superato ogni egoismo, si apre all’altro per comunicargli quanto di buono è presente nell’animo.
Il pomeriggio dell’inaugurazione mi sono abbandonato alla fantasia ed ho compiuto questo viaggio, consapevole di trovarmi in un contesto unico. Mentre ammiravo il patrimonio artistico, mi sembrava che gli occhi di Atena si riflettessero nello sguardo severo del monaco e in quello serafico del santo. Intanto il viso materno di Maria mi faceva comprendere quanto fosse stato fortunato il territorio per aver respirato a pieni polmoni la storia dell’Europa. Infatti, in questo lembo di terra così variegato per i suoi panorami tra mare e monti si è compiuto il miracoloso travaso tra Oriente ed Occidente grazie alla presenza di uomini che, nel nome di Cristo, si sono impegnati ad operare il bene mentre sfuggivano tragiche persecuzioni. Mentre fissavo le sezioni espositive andavo immaginando l’esperienza dei monaci italo-greci che dalla Badia di Pattano hanno irradiato la loro presenza su un vasto territorio invitando a sperare popolazioni impaurite e derelitte per le tante invasioni. Grazie ad un concreto travaso di tecniche hanno insegnato come è possibile usare pacificamente la forza dell’acqua ed incanalarla per rendere fertili terreni sui quali, dopo averli terrazzati, hanno piantato l’ulivo, benefico alimento e simbolo di pace. La loro presenza ha realizzato un primo fecondo meticciato culturale, la cui emergenza artistica più significativa è la statua di san Filadelfo, un manufatto che richiama stili lombardi ed iconografie centro-europee. L’altro polmone è rappresentato dai monaci benedettini che hanno regalato al territorio integrali e durature esperienze di civiltà materiale. L’incontro di popoli è continuato con sorprendente intensità come si desume dai monumenti architettonici e dalle opere pittoriche delle chiese di Novi, dedicate a Santa Maria dei Greci una e dei Lombardi l’altra, testimonianza della possibile convivenza di popoli diversi per provenienza e cultura. La loro convergente presenza in uno spazio così limitato come la cinta muraria del paese ha lasciato tracce di stimolante incanto.
Il culto del bello ha fatto da cornice all’attività di tanti artisti che in chiese e cappelle, grazie alle tante committenze, hanno lasciato saggi di stili diversi legati ad un dinamico centro come la metropoli partenopea. Mentre gli edifici di culto si arricchivano di opere d’arte, ai fedeli non erano risparmiati da esperienze dolorose in un territorio oggetto della cupidigia di conquistatori. Proprio questa evenienza e il modo come è stata vissuta oggi costituiscono un grande insegnamento. Rispetto a invasioni, immigrazioni, imposizioni forzate dall’esterno il popolo ha conservato un’indistruttibile fiducia nella bontà dell’ospitalità; ha scelto l’inclusione nel condividere una dignitosa povertà, mai di ostacolo agli insegnamenti più stimolanti del Cristianesimo. I Cilentani hanno praticato tutto ciò segnalandosi in particolare per la devozione alla Madonna, invocata con molteplici titoli, ma sempre riconosciuta provvida ed amorevole Madre e per questo oggetto di un culto che si è trasformato anche in seme delle emergenze artistiche sparse nel territorio. Ogni collina, le vette dei monti più alti e gli acrocori più sperduti si sono riconosciuti in appellativi che hanno esaltato la bontà di Maria.
Bene quindi un’anteprima per ritornare al Cilento, ma quale Cilento? L’itinerario proposto dalla guida stampata per la verità appare riduttivo per contenuti e prospettiva. Si dirà: è solo una esemplificazione! Forse è indispensabile allargare le modalità di lettura critica del patrimonio artistico perché non è sufficiente presentare solo le caratteristiche tecniche ed estetiche del manufatto. Occorre descrivere anche le mani che hanno operato e la mente e il cuore del committente ed enumerare gli stimoli emotivi, culturali e spirituali della comunità, ai quali l’opera conferisce una risposta condivisa, rivelatasi convincente al punto da determinare una convergente e reiterata venerazione.
Si parla tanto d’identità; nel Cilento può risultare incomprensibile senza la dovuta attenzione al fattore R, oggi così pervadente in una post-modernità super tecnologica a giudicare della vicende internazionali che tormentano il nostro anelito di pace. Ebbene, in questa area una delle esperienze più fortunate – e la mostra lo testimonia in modo incontrovertibile – è il meticciato, prospettiva che spaventa tanti, soprattutto se s’ignora la storia e, perciò, non si riesce ad esorcizzare paure egoisticamente strumentalizzate da chi cerca consensi appellandosi alla pancia dell’uomo.
Il 18 maggio, all’inaugurazione della mostra nell’invidiabile cornice del museo di Paestum si percepiva questa possibilità. La sala scelta, nella quale organizzatori e pubblico si sono intrattenuti, esponeva in bella mostra le metope in pietra dei templi della città delle rose; automatico il raffronto tra la civiltà dell’immagine virtuale odierna, che esalta l’effimero, e il sorriso “ironico”di quei volti. La solidità della loro testimonianza ha sorvolato i secoli per presentarsi alla nostra attenzione e descrivere il portato di una civiltà capace ancora di emozionare. Anche in questo caso il fattore R – religiosità e religione dei pestani – diventa lo scrigno per conoscere, comprendere, apprezzare un popolo, elemento ancora più significativo perché emerge mentre si visitano, si osservano e si ammirano gli affreschi di alcune tombe, luogo di morte trasformato dalle icone e dal melograno in convinto, anche se umbratile richiamo alla bellezza della vita nella concretezza del suo dipanarsi. Quella del tuffatore pronto a immergersi con slancio fiducioso non infonde l’idea della fine, sembra quasi una plastica e profetica evocazione della speranza di un inizio, di una nuova vita mentre s’immerge in acque lustrali che profetizzano quelle del battesimo. Perciò, molteplici sono i motivi per compiere, da soli o insieme, questo viaggio tra bellezze note e meno note. Perché risulti veramente proficuo per lo spirito occorre procedere ad una duplice lettura delle emergenze artistiche. Quella fatta con gli occhi, nei quali si riflette la bellezza di colori, prospettive e disegni, va accompagnata dalla meditazione sui simboli, invito ad osservare con maggiore attenzione il manufatto. Così gli stimoli visivi trasmettono all’intelligenza dati cognitivi per leggere il memoriale racchiuso nel messaggio tramandato da uomini e donne attivi nei secoli passati, pronti a cantare, nonostante difficoltà, ristrettezze, dolori e timori, il loro inno alla vita esaltata dall’armonica bellezza dell’arte.