Il solstizio d’estate, che cade il 21 di giugno e si prolunga fino al 24, da sempre si carica di attese, di desideri, di modificazioni/rivoluzioni palingenetiche per i singoli e per le collettività. E per questo non mancano miti e leggende, che nel corso dei secoli hanno caratterizzato la ricorrenza tanto nelle classi popolari, soprattutto quelle contadine a tutte le latitudini e sotto ogni cielo, che quelle borghesi, aristocratiche e colte.
Le streghe, che nella Notte di San Giovanni si danno appuntamento per un sabba carico di misteri e di sessualità trasgressiva sotto l’albero di noce, che proprio in quella notte, alba d’estate, cala nei frutti umori ed afrori che profumeranno unguenti e liquori delle massaie, rievocano il mito delle Baccanti, devote e sacerdotesse di Bacco/Dioniso sfrenate nei riti orgiastici in onore del dio che ottunde ed obnubila la razionalità con i fumi del vino e la passionalità dei sensi. E proprio nel ciclo del solstizio trionfa la ricca prismaticità della donna, che è sirena nelle sottili, straordinarie, coinvolgenti e piacevolmente contagiose arti della seduzione, strega nel trionfo della sua sessualità, ma anche madonna nella sconfinata generosità di sposa e di madre capace di gesti di eroismo.
E non a caso questa condizione, che è fisica e psicologica insieme, la si avverte anche in natura nei giorni in cui si esaurisce e muore la primavera con il suo carico di fiori sfatti ed esplode l’estate nel trionfo della pastosità dei frutti, quasi a voler simboleggiare anche la crescita, lo sviluppo ed il mutamento della donna che dalla freschezza virginea del fiore della pubertà acquista e conquista l’esuberanza e la maturità della fecondità e della procreazione nella pienezza consapevole della propria femminilità, a dimostrazione che la natura ha un’anima e che c’è sinergia/sintonia tra uomo e natura e che varia con il variare delle stagioni.
E la creatività letteraria di tutti i secoli ha ripetutamente evidenziato questa identificazione dei cicli della natura con la crescita/maturazione ciclica della donna, come in questi miei versi: “Nel caldo meriggio di giugno/negli orti rubati alla roccia/la terra sfregiata pretende/il sesso dell’acqua feconda/ed, ultimo guizzo di vita/,brucia lenta gli odori di morte./Sul letto alla stanza remota,/ la giovane donna allupata/avida beve amarezze/ al sesso afflosciato del maschio…”
D’altronde lo sottolineava già il grande Alceo evidenziando che d’estate “Sirio fiacca le ginocchia agli uomini”, mentre gonfia desiderio e passione alle donne.
E si presta a questa lettura/interpretazione una usanza /ritualità ancora ampiamente diffusa tra il ceto popolare e contadino della mia terra di origine, il Cilento, che sa di culti e miti greci, come testimoniano monumenti dissepolti e storia prestigiosa di due città magnogreche: Poseidonia/Paestum e Elea/Velia: il fiore del cardo troncato in boccio ed esposto al fuoco della luna nel boccale colmo d’acqua e l’albume dell’uovo versato nell’acquosità di un piatto sul davanzale della finestra. Dalla consistenza della (ri)fioritura del cardo e dalla forma assunta dall’albume nella lenta navigazione della notte nel piccolo… “lago” del bicchiere si traevano gli auspici per il futuro. È facilmente intuibile che al rito carico di speranza si sottoponessero,e in parte si sottopongono ancora, soprattutto le ragazze nell’età inquieta dell’amore. Da quei ricordi, che segnarono di stimmate profonde il mio cuore bambino, è nata questa mia testimonianza poetica: LA NOTTE DI SAN GIOVANNI.
“Le ragazze in amore alla mia terra/troncano il cardo che minaccia sbuffi/di velluto alla scorza del cilicio/nella sera di giugno a San Giovanni./Ad alba chiara è cuore nel bicchiere/a spia d’attesa a canto di fortuna/se nella notte il fuoco della luna/ha spiumato il sorriso di viola/Ho memoria d’albume nel piatto/ a figurami vele di vapore/a transito di mare a nuovi approdi/l’anima inquieta a fuga di paese”.
Probabilmente si presta alla stessa lettura interpretativa il viaggio/avventura di Ulisse nell’incontro/rapporto con le sue tante donne, Nausica, Sirene, Calipso. Circe, che sono, forse le tante facce dell’amore della stessa donna, Penelope, che l’aspetta ancorata al culto della fedeltà consacrato ed ossificato nel vecchio tronco d’ulivo del talamo nuziale. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e me lo riservo per un’altra occasione. Qui di seguito, invece mi piace riportare un’altra mia poesia che testimonia in versi l’anima/vita della natura che trionfa nei fiori e non solo in questi ultimi giorni di giugno:
Sulle colline brulle il cardo in fiore
spruzzi viola al bianco delle pietre.
È sangue fresco al biondo delle spighe
Il papavero a vanità di campi.
A margini scoscesi alla pastura
È monumento ardito all’esistenza
la capra tesa all’erba dei fossati.
E rotola alle valli il campanaccio
con l’eco franta a ciottoli di greto.
E sogna amore il giovane pastore
con l’occhio teso ad orizzonti nuovi.
E sfuma lieve il sole del tramonto
occhi di fanciulla a incendiare
(tratta da Giuseppe Liuccio: MITI DI TERRA E DI MARE -Edizioni dell’Ippogrifo)