Dopo aver reso grazie, Pietro prende la coppa, la porge agli altri e tutti ne bevono. Mentre i commensali si passano il calice, egli ricorda le ultime parole pronunziate dal Maestro in questa circostanza e, come per un’illuminazione interiore, le ripete ad alta voce:
Il raccoglimento dura alcuni minuti, improvvisamente tutti prorompono in coro: ”Pietro, hai avuto una splendida idea a rievocare il gesto di Gesù. Egli ci ha invitato a farlo per ricordarlo. Perché non ci proponiamo di ripeterlo e porlo a fondamento della nostra identità di seguaci del Nazareno? Il giorno della sua resurrezione ci consente di procedere a questo mutamento radicale della festività infrasettimanale. Senza contestare quando fanno gli altri, intendiamo celebrare in questo giorno il nostro ringraziamento, vale a dire la certezza che la vita ha vinto la morte e che il Regno di Dio è veniente, come il Maestro ha insegnato.”
“Non potevate fare una proposta migliore. Sono d’accordo con voi. Ma ora continuiamo il pasto. Noto che gli ultimi arrivati sono particolarmente stanchi. Diamo loro la possibilità, appena rifocillati, di ritirarsi per riposare.” Risponde Simon Pietro.
A quest’invito viene servita la portata principale: agnello arrostito ed un piatto di lenticchie. Lentamente la tensione si scioglie e la sala si riempie di commenti, di qualche sorriso, addirittura di qualche battuta. Pietro non vuol essere da meno e, richiamando l’attenzione di tutti, esclama: “Andrea, vedi bene, chiamo tutti a testimoni. Mi tengo molto stretto il piatto di lenticchie e certamente non ho intenzione di cederlo a te. Così non potrai accampare diritti sulla mia eredità e devi riconoscere la mia primogenitura”.
Tutti scoppiano in una sonora risata liberatoria, anche le donne che, nel fare compagnia a Maria,
“Penso che sia necessario un momento di riflessione comunitaria tra noi per decidere che posizione prendere rispetto alle esperienze fatte a partire dallo scorso 16 di Nisan. Sono consapevole che alcuni di voi rimangono perplessi e che Tommaso è contrario a prestare fede a quanto si va sussurrando, ma ritengo necessaria una parola definitiva da parte di tutti su questo fatto”.
“Conveniamo con te”, risposero a Pietro in coro, con la sola eccezione di Tommaso, rimasto silenzioso.
Lo sguardo di Simone lo incalza, alla fine anche Didimo prende la parola affermando di voler partecipare al dibattito sull’argomento: “Dovete convenire che noi non conosciamo la psicologia profonda di Gesù, perciò siamo costretti a separare ciò che egli pensava di sé, anche se alcuni si sono fatti un’idea, dalle azioni e dalle parole dette in pubblico. Ora soprattutto, Gesù è ciò che ha predicato. Con riferimento alle vicende da lui vissute nell’ultima settimana di vita è opportuno riflettere su come egli si sia confrontato con la delusione degli ultimi giorni e, specialmente, come ha accettato la morte; soltanto così riusciremo a comprendere l’atteggiamento che lo lega alla percezione che ha della sua missione.”
Gli altri concordano e Tommaso continua “In Galilea, all’inizio, ha un grande successo nonostante i parenti lo ritengano un esaltato. In effetti, abbiamo vissuto anche noi l’entusiasmo delle folle per un uomo eccentrico, anche se quando ha affermato cose poco gradite all’uditorio il consenso si è andato affievolendo. Ad un certo punto, deluso anche dai discepoli, il Maestro deve constatare che alcuni, i quali in precedenza lo avevano esaltato, tentavano di ucciderlo. L’acme di questa esperienza si è avuta quando eravamo nelle città del nord; infatti, mi pare che in alcune occasioni, durante quel viaggio abbia accentuato l’enfasi apocalittica proprio contro quei paesi.”
“Purtroppo”, interviene Matteo, “lo abbiamo deluso anche noi discepoli più vicini in un momento particolarmente delicato, quando si è accentuata la vera minaccia contro di lui: il potere politico e religioso si è amalgamato quando farisei ed erodiani hanno concordato sulla necessità di metterlo a morte. Le sue critiche ai potenti, la sua proposta di riforme sono percepite come una vero minaccia. Proprio in questo momento Gesù decide il viaggio a Gerusalemme, ritenendolo l’ultima opportunità per la sua missione. Terminato il giro dei discepoli inviati a due a due nelle regioni del nord, con i più intimi egli si è incamminato verso la città santa per giungervi in tempo per le feste di Pasqua”.
A Matteo fa eco Giacomo di Zebedeo: “Ho la sensazione che egli avesse chiaro il presentimento di cosa l’attendesse. Più di un amico gli aveva riferito delle preoccupazioni di Erode, del sentimento di oltraggio diffusosi presso sacerdoti e farisei e, col suo predicare il Regno, l’aleggiare del rischio di equivoci presso i romani. Egli riflette sulla missione e il ruolo, di conseguenza considera con crescente chiarezza la sua condizione personale.”
“Dici bene, Giacomo”, commenta Tommaso. “Sua crescente preoccupazione rimaneva il fatto che il termine messia e la sua missione conservassero ancora diffuse connotazioni politiche, che egli rigettava con decisione, ritenendole una diabolica provocazione. In precedenza il Maestro non aveva dato particolare importanza a questi aspetti; infatti, non aveva rifiutato di circondarsi di convinti zeloti, dei quali alcuni sono ancora in mezzo a noi. Rispetto ai progetti di Giuda, che lo consigliava altrimenti, Gesù ha sempre rigettato il ruolo politico di messia e la connessa missione alla quale questi sollecitava di dare inizio. Proprio per questo ha preferito far riferimento ad altri titoli, identificandosi alla fine con quello del Figlio dell’Uomo. Sono convinto che, prima della morte, Gesù ha radicato nel suo intimo quest’ultimo convincimento: quando è entrato trionfalmente a Gerusalemme e quando ha cacciato i venditori dal Tempio egli ha ritenuto di essere appunto il Figlio dell’Uomo”.
“Credo che egli conoscesse l’imminenza della fine, altrimenti non si spiega perché abbia cercato di prepararci anche se noi non l’abbiamo capito”, interrompe Giovanni. “Nel discorso durante il pasto di addio mi pare che abbia chiaramente affermato che doveva morire, anche se rimane fiducioso circa la protezione che il Padre avrebbe riservato alla sua missione. Egli ha considerato inevitabile la sua morte come prezzo da pagare per realizzare il Regno. La sua fine è diventata, perciò, la decisiva identificazione con la causa del Regno di Dio. Così, anche quando il Sinedrio l’ha interrogato, egli ha rifiutato di rispondere; ha inteso contestarne l’autorità, pur consapevole delle conseguenze, perché non ha voluto sottomettere il suo insegnamento al giudizio dei sacerdoti”.
Pietro, quasi per tentare un bilancio di quanto ha sentito e sperimentato nella settimana, interviene: “Il Maestro si è fatto riconoscere da noi come risorto evidenziando sempre le piaghe procurategli sulla croce. Egli ha valorizzato i segni dell’essere stato crocefisso trasformandoli nell’occasione per identificarlo anche come risorto. Quelle ferite sono la prova incontrovertibile della sua vittoria sulla morte, nel mentre esaltano il suo persistente amore per noi”.
“Mi pare che tutto ciò debba invitare a riflettere sull’importanza del far memoria della vita di Gesù”, aggiunge Giovanni. “Senza questo concreto riferimento alla sua esperienza diventa impossibile cogliere i segni del risorto. Infatti, soltanto chi è capace di donarsi come ha fatto lui può sperimentare, pur nelle angustie del dolore, la verità della risurrezione”.
“Cari amici – ribadisce Giacomo il maggiore – la crocifissione di Gesù ci ha fatto disperdere come gruppo. Quella traumatica esperienza e la paura che ci ha preso ci avrebbe oggi indotto a trovare riparo nelle rispettive abitazioni, consapevoli della delusione nell’avere sperato in chi avrebbe liberato Israele e, invece, è morto. L’annuncio di una risurrezione solo immaginata sarebbe un ripiego veramente misero in un paese come Israele dove su questo punto si è molto divisi. Infatti, mentre i sadducei la negano del tutto, altri la ritengono possibile. Ma alla fine dei tempi come fenomeno generale. Non penso che le donne e i fratelli che hanno fatto esperienza del risorto potessero inventarsi una cosa simile. Noi tutti avremmo ben poco, anzi nulla da guadagnarci. Perciò, io ritengo che fra la nostra fuga nell’orto e l’annuncio coraggioso delle donne sia davvero successo qualcosa”.
“Durante i mesi di missione siamo stati testimoni di altre risurrezioni. Ricordate la figlia di Giairo, il ragazzo restituito all’affetto della madre vedova o la singolare esperienza di Lazzaro, del quale spesso siamo stati ospiti?” Si chiede Andrea. “Ma le rianimazioni di questi morti si distinguono dalla risurrezione di Gesù perché il nostro Maestro Risorto non mi pare che sia tornato alla vita di prima, come gli altri tre. Ha fatto sapere che ci precede in Galilea, ma non ha ripreso a girovagare lungo le strade della Palestina predicando e guarendo ammalati. La sua non è la rianimazione di un cadavere; è una cosa diversa. Noi abbiamo avuto una esperienza visiva: Egli che si mostra, l’iniziativa parte dell’Onnipotente, non da noi discepoli; è lui che si mostra visibilmente.”