La Democrazia Cristiana è stata la forza politica che ha tenuto unito il Paese dopo averlo ricostruito dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, riuscendo a passare indenne dalla Guerra Fredda, dal terrorismo, dalle stragi, dalle varie crisi economiche e valutarie, ma non da Tangentopoli.
È stato un partito che ha sancito l’unità politica dei cattolici, resistendo a due sconfitte sui temi dei diritti civili, quali l’aborto ed il divorzio, contro le iniziative dei partiti laici, un partito che riusciva a dialogare perfino con la Sinistra, con le aperture di Aldo Moro, di Carlo Donat Cattin e di Giorgio La Pira. A fare la Riforma Agraria grazie ad Antonio Segni ed il Piano Casa con Amintore Fanfani.
Al suo interno tuttavia non mancarono pulsioni repressive con l’azione di Mario Scelba e tentativi di alleanze con la Destra del Msi nella breve esperienza del governo guidato da Fernando Tambroni.
Allo stesso tempo, Alcide De Gasperi sposò l’Atlantismo e la Nato, gettando le basi della casa comune europea.
Da quel momento le stelle polari furono sempre il Vaticano e la Casa Bianca, senza disdegnare accordi con il mondo arabo, per necessità energetiche, strizzando l’occhio qualche volta anche oltre cortina, con l’apertura degli stabilimenti Fiat in URSS ed in Polonia
Per decenni incarnò varie anime, riuscendo a mantenere il potere come nessuna forza politica nel mondo occidentale.
Quasi una condanna a governare ad ogni costo, fino a minare irreversibilmente la sua anima, diventando un simbolo del potere fine a se stesso.
Accusata di tutti i peggiori peccati, incarnò quasi il male assoluto.
Lo pensavano anche quelli della generazione dei cinquantenni, quasi fosse una sorta di tappo alla crescita democratica della nostra società.
Alla fine, arrivò quel giorno, ma non fu il frutto di un semplice cambio di maggioranza.
Il fatto si consumò grazie ai colpi mortali inferti dalle inchieste giudiziarie e dalle campagne di stampa che, oltre a delegittimare le forze di governo, crearono quel sentimento di antipolitica che distrusse la classe politica, intesa come categoria preposta alla gestione della cosa pubblica, selezionata dopo un duro “cursus honorum” realizzato nei partiti, nelle amministrazioni locali, nelle istituzioni parlamentari e di governo.
Ne scaturì una deriva demagogica, populistica, caratterizzata dal “nuovismo” come patente di rinnovamento e di credibilità, seppure non supportata da una reale capacità di gestire le istituzioni e di capire le istanze della società, accompagnata sovente da un ostentato dilettantismo, reputato più affidabile rispetto al professionismo della politica.
Da qui il leghismo, il partito azienda, il leaderismo, il grillismo, i contenitori con richiami alla “botanica”, quali La Margherita, la Quercia. Autentiche scatole vuote, occupate secondo il metodo della cooptazione, senza una severa scuola politica. Facilitati da sistemi elettorali che hanno premiato degli autentici sconosciuti, amanti, amici, parenti, carrieristi, spesso incapaci, valorizzatori di cieca obbedienza al capo rispetto al merito.
Lo stile asciutto, a volte grigio e paludato, mai sopra le righe, dei vecchi colonnelli della DC, come De Mita, Colombo, Forlani, Fanfani, Moro, stride al confronto con chi è venuto dopo.
C’è da chiedersi come sia stato possibile demolire quella classe dirigente per avere oggi un personale politico così scadente, che all’epoca non avrebbe potuto fare nemmeno da portaborse.
E, soprattutto, cosa sia successo nella testa degli italiani per accettare questa cosa.
Probabilmente, la demolizione del sistema partitocratico serviva ai beneficiari di questo processo: le privatizzazioni, con l’uscita del pubblico dal mondo delle Partecipazioni Statali, ha favorito la nascita di nuovi gruppi, italiani e stranieri, che riescono ad influenzare più facilmente l’opinione pubblica e l’agenda politica, in assenza di una solida ed indipendente classe dirigente.
Un mondo neo-corporativo che riesce ad imporre i propri dossier e che non trova ostacoli nei Ministeri, nelle segreterie politiche, così come sui giornali, sul web.
Un prezzo troppo alto, pagato con l’alibi della questione morale, divenuta oggi una vera emergenza democratica che dovrebbe far riflettere tutti.
RispondiInoltra |