Da sei anni l’Osservatorio dell’Aresta di Petina, su al rifugio dell’Ausoneta, è di fatto privo di adeguate attrezzature informatiche. Era fuori uso. L’appello degli appassionati, un vero e proprio grido di dolore, è stato raccolto dal sindaco di Petina e fatto recapitare alla Regione Campania e al Parco del Cilento. “Servono duecento mila euro”. Le ultime notizie sono positive: sia il Parco che la Regione ci stanno, e aprono i cordoni della borsa. Il più grande osservatorio astronomico amatoriale d’Europa è salvo. Può continuare a definirsi tale. Sono pronti anche i bandi. Forse ci sono i presupposti per scrivere finalmente una bella storia sugli Alburni. E diventa vera la citazione che volevamo mettere in questo articolo: “Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono” cosi affermava William Blake, un celebre poeta inglese; infatti, di fronte alla magia dei Monti Alburni, non resta che soffermarsi a guardare la loro bellezza, la loro maestosità.
I monti Alburni, con i loro 23 km di lunghezza e 10 km di larghezza, fanno parte del Parco Nazionale del Cilento, risalgono all’era mesozoica e vengono anche definiti le Dolomiti del Sud; ricoperti ad alta quota da maestose faggete, costituiscono l’area carsica con la maggiore concentrazione di grotte dell’Italia meridionale, se ne contano circa 250 al catasto della Campania. Il nome Alburni deriva dal Monte Alburno, dal colore bianco per la sua natura carsica, che è riconducibile al colore bianco dell’albume dell’uovo, dal latino Albus ovvero bianco, imbiancato, ribattezzato poi con il nome di Panormo, merito del bellissimo panorama che si ammira dalla sua vetta. Il nome Panormo si pensa possa derivare da Panormus, l’antica Palermo per i Romani, perché arrivati in cima si potrebbe intravedere Palermo.
Parte da qui il nostro trekking speleologico, dall’Osservatorio Astronomico “Aresta” nel Comune di Petina in provincia di Salerno a 1300 metri di altitudine, che è stata la nostra base, il nostro rifugio per la notte, dormendo in un sacco a pelo, e il nostro punto di ristoro per il giorno; costruito circa trent’anni fa dalla Comunità montana di Postiglione, inizialmente ricovero di pastori e mandriani, è diventato, ora, uno dei più grandi osservatori amatoriali d’Italia. Inizia, così, una due giorni di full-immersion in un posto unico, che ci ha portato alla conoscenza anche di un misterioso mondo sotterraneo; infatti, vista la natura carsica di questi luoghi, ci incamminiamo verso due singolari grotte, la Grave del Fumo e la Grotta di Fra’ Gentile, abbastanza vicine tra loro, che danno vita al Sentiero delle Grave.
Entrambe risalgono all’età Mesozoica, ovvero 120 milioni di anni fa, e si sviluppano verticalmente, a causa della caratteristica geologica – strutturale dell’area, in quanto tutto il massiccio degli Alburni è formato da quattro faglie verticali. Scoperte dal gruppo speleologico di Eugenio Boegan, intorno agli anni 50, non comunicano tra loro ma, grazie a un fiume sotterraneo, sono in collegamento con le grotte di Pertosa.
La grotta del Fumo è chiamata cosi, perché d’inverno, a causa della differenza di temperatura, tra interno ed esterno, c’è una scia a segnalarla, invece la grotta di Fra’ Gentile è uno spettacolare inghiottitoio con due grandi aperture e porta il nome del brigante fra’ Gentile che, in questo luogo, trovò il suo nascondiglio.
In questa due giorni, affiancati dal gruppo Speleo Club Sperone di San Giovanni Rotondo che, con istruttori esperti, ci hanno guidato anche nella conoscenza di base delle attrezzature simulando, con alcuni temerari, le tecniche di salita e discesa in grotta; il club è stato fondato da Michele Lo Mele, negli anni 70, ed è diventato poi scuola riconosciuta a livello federale dal 1994.
L’evento, invece, è stato organizzato dal gruppo di Garganowunderland, costituito da varie figure, tra cui la guida turistica Nicola Pazienza e il geologo Gianluca Russo. Partiti nel 2017, grazie alla loro incisiva presenza sui social, organizzano escursioni nella natura raccontando la storia e le tradizioni della loro terra, ovvero il Gargano, e non solo, il tutto accompagnato da soste gastronomiche presso aziende locali. C’e’ un rito propiziatorio, durante ogni escursione, ovvero il taglio del caciocavallo tipico del posto, prodotto nell’azienda agricola di famiglia dal padre di Nicola, e accompagnato da un singolare antico brindisi con il vino locale.
E ancora una volta la natura stupisce ancora per sua grandezza, per la sua imprevedibilità; noi, oggi, appartenenti ad una società fin “troppo civilizzata” che ci ha tolto l’azione più bella per un essere umano ovvero quella di meravigliarci.