Nel mese di gennaio dello scorso anno, prima che l’Italia cadesse sotto “lo schiaffo” della pandemia, l’Amministrazione comunale di Cave de’ Tirreni consegnò ufficialmente alcuni locali, situati nella seconda parte dell’ampio complesso di San Giovanni, nel cuore del centro antico, al Comitato “Figli di Mamma Lucia”, presieduto dall’ex magistrato e parlamentare Felice Scermino, che tiene viva la memoria di questa donna eccezionale: dopo la seconda guerra mondiale, si prodigò non poco a ritrovare i corpi di tanti soldati tedeschi morti sulle colline salernitane, restituendoli alle famiglie perché avessero almeno il conforto di una sepoltura in patria. Come per la storica “Pergamena bianca”, in questi locali del Complesso di San Giovanni dovrebbe sorgere un museo, da tempo auspicato, dedicato a Mamma Lucia. Dice il Presidente Felice Scermino: «Si aspetta che passi questa pandemia per poter riprendere il cammino per la costituzione del Museo, anche se in questi mesi abbiamo recuperato del materiale interessante su Mamma Lucia, come documenti e un filmino».
Cava ha onorato questa donna semplice, ma «cristiana e caritatevole», come ebbe a definirla Papa Pio XII nel 1951 quando la ricevette in udienza privata, con un busto presente nel corridoio degli illustri nella sede comunale, con un monumento in marmo realizzato da Ugo Marano nella piazzetta antistante la chiesa del Purgatorio nel cuore di Borgo Scacciaventi di Cava, a pochi metri dalla chiesetta di San Giacomo dove lei raccoglieva i resti dei soldati tedeschi caduti durante la guerra e da lei scavati.
In una intervista rilasciata nel 1979 a Raffaele Senatore, Mamma Lucia diceva: «Io n’aggi’avute ciente e ciente figlie ‘e tutte ‘e razze…Dduuie me so’ nate, ma tutte ll’ate l’aggi’adottate».
Nata Maria Lucia Pisapia il 18 novembre 1887 alla frazione S. Arcangelo di Cava, coniugata Apicella, fragile nell’aspetto, ma forte nell’animo, questa donna era conosciuta come Mamma Lucia, titolo che le aveva dato il prof. don Giuseppe Trezza, sacerdote cavese e uomo di profonda cultura. E per tutti è stata sempre Mamma Lucia.
Poco più che venticinquenne, Lucia sposò Carlo Apicella da cui ebbe due figli: Vincenzo e Antonio. Era solito vederla vestita di nero, con un ampio grembiule alla vita: con il marito attendeva alla conduzione di una drogheria posta sotto i portici cavesi. Ai tanti saluti che riceveva per la strada dalla gente più disparata, era solito rispondere: «Va c’a Maronna, bell’i mamme». Una vita che sembrava normale, uguale a quella di tante altre donne. Invece aveva qualcosa in più che la poneva in una luce particolare. Quando nel 1982 morì all’età di 95 anni, il Santuario cavese della Madonna dell’Olmo si affollò di personalità di governo, della politica, di ambasciatori e, soprattutto, di tanta gente, quella che ogni mattina la incontrava e la salutava.
Nel 1948, in una nota di cronaca del periodico locale “Il Castello”, fondato e diretto dal compianto avv. Domenico (per tutti: Mimì) Apicella, così raccontava la sua storia di misericordia. «Una notte del primo anno dopo la fine della guerra sognai una radura con otto croci abbattute. Comparvero otto soldati e mi scongiurarono “se hai figli tu ci devi rendere alle nostre madri!”» Il giorno dopo Lucia, terziaria francescana, scrisse una lettera al Comando alleato chiedendo il permesso di trovare e sistemare i soldati caduti e perduti. La pratica però dipendeva dal Comune di Cava che subito l’autorizzò, mettendo due becchini a sua disposizione. Dopo il primo ritrovamento di alcuni soldati tedeschi in una grotta del Monte Castello a Cava, le ricerche di Mamma Lucia non si fermarono, incurante dei pericoli cui andava incontro: molti erano i campi ancora minati e molte bombe inesplose non erano state ancora sminate. Lei, però, continuava, senza sosta, a recuperare quei poveri “figli di mamma”, ricomponendoli in cassette di zinco comprate con soldi suoi, e a inviarli alle famiglie in Germania: un lavoro non facile, anzi decisamente difficoltoso, che portò l’energica donna sulle colline cavesi e salernitane dove si sapeva che vi fossero stati presidi di soldati tedeschi. Alla fine del 1944 Mamma Lucia aveva raccolto oltre 700 corpi con diversi documenti e segni di riconoscimento.
Questa vasta opera le meritò la gratitudine del popolo tedesco, che la ricordava come Mutter der toten, (mamma dei morti) e che volle gratificarla con un’alta onorificenza consegnatale a Bonn dall’allora Cancelliere Adenauer, mentre la Repubblica Italiana le appuntava sul petto la medaglia d’oro al merito civile. Quelli che una volta erano i treni carichi di deportati dall’Italia verso i campi di concentramento della Germania nazista, si erano trasformati nei treni che riportavano nel seno delle loro famiglie i giovani tedeschi morti in Italia durante lo scellerato secondo conflitto mondiale.
Non sono stati pochi i cittadini cavesi che, negli anni scorsi, hanno sperato nell’avvio di un processo di beatificazione di questa donna eccezionale, quanto meno del riconoscimento di “Serva di Dio”, ed era anche stato auspicato che la chiesetta di San Giacomo all’imbocco del Borgo Scacciaventi venisse riconosciuta come “Sacro Tempio della Pace fra i popoli e Museo storico di Mamma Lucia”. Tutto però si è perso nei meandri della memoria collettiva. Ma se la strada religiosa è alquanto ardua, certamente si porterà a termine il Museo a lei dedicato, progetto certamente più fattibile conoscendo la serietà d’impegno del Presidente Scermino. D’altra parte si tratta di onorare e tenere accesa la memoria di una donna che seppe pensare al “nemico” come a un figlio che andava recuperato se pur nella morte, per lenire il dolore di tante madri.
Vito Pinto