Incontriamo il diciannovenne Massimino Voza, giovane musicista Paestano che però fa finta di vivere a Londra, a Berlino, a New York. Gentile, curioso e tremendamente timido ha sempre avuto una grande nemica: la sua voce. Fin da piccolo ha problemi di balbuzie e da adolescente scopre che la musica è l’unica terapia che libera quel blocco fonatorio che tanto gli ha reso la vita difficile. Il suo nuovo progetto musicale, prodotto da Davide Napoleone per la Tippin’ The Velvet , è “Looking for a Candid Rose”, 19 minuti di alternative/pop inglese. In una tua biografia dici apertamente che ti sei avvicinato al mondo della musica perché è l’unico modo in cui tu potessi comunicare, avendo problemi di balbuzie. Racconta il tuo primo approccio comunicativo-musicale. Da sempre qualsiasi altra forma di linguaggio che non sia quello parlato è stata il mio rifugio. Che mi sedessi dietro una batteria o prendessi una matita in mano, mi sentivo al sicuro. La balbuzie iniziò a 3 anni e mi ha reso difficile, se non impossibile, qualsiasi relazione umana. Non so dire quando sia avvenuto il mio primo approccio musicale, ero un bambino iperattivo, a casa avevo un pianoforte ma preferivo prendere di nascosto le padelle. Lì nacque l’amore per la batteria che ho studiato fino a 14 anni. A 15 invece ho avuto una forte depressione, iniziai a suonare un po’ per conto mio il pianoforte e non passò molto tempo per diventarne dipendente. Era come se il piano fosse una protesi del mio apparato fonatorio. Poi, un giorno, mentre provavo a casa di amici, mi misi per pochi secondi alla tastiera e iniziai a cantare al microfono. Il suono usciva dalla cuffia: era la prima volta che ascoltavo la mia voce così, quasi mi commossi. Ora sono una persona felice, complessata ma felice. Sono felice di aver trovato il mio linguaggio. Che tipo di preparazione hai avuto? Iniziai a studiare la batteria a 6 anni, mi avvicinai al jazz, che poi abbandonai, era troppo pesante per un bambino che voleva solo dare 4 bacchettate per evadere da una giornata di sfottò. Poi mi dedicai al rock ma il vero cambiamento, l’ho avuto verso i 12 anni, quando iniziai a riscoprire il jazz, la musica classica e la musica antica. Iniziai a documentarmi sui ’60-’70 innamorandomi dei Pink Floyd, di Bowie, di Brian Eno, dei Talking Heads, di Peter Gabriel e di tanti altri. Penso che lo studio più efficace sia stato l’ascolto. Ascoltare tanta musica, differente sia per contesto che per concetto è fondamentale se vuoi avere un quadro generale di quello che è stato fatto, del suo perché e delle sue motivazioni politico-sociali. Come giudichi l’atmosfera musicale cilentana? Così e così. Il piatto forte è sicuramente la musica popolare, ma non sono una persona molto tradizionale e non mi piace attaccarmi ad un luogo, che sia fisico o spirituale. Questo è il motivo per il quale penso mi sposterò Quando hai deciso di voler vivere di musica? Inizialmente era una fantasia bambinesca, poi un’utopia adolescenziale fino a concretizzarsi adesso, che ho 19 anni. Non sono mai stato più convinto di così. Più che altro il motivo principale è che non vedo la musica come una passione, non lo è mai stata, quanto come una necessità. Non ho mai deciso di vivere di musica, l’ho sempre fatto. Anche nella scena indie ci sono casi di cantautori molto celebri e poco talentuosi, cosa pensi del marketing applicato alle arti? Questa è una bella domanda. L’indie non mi sta molto simpatico, appunto per il motivo da te elencato: poco talento e tanto successo. La musica oggi è un business e si nota palesemente, però in parte mi affascina la capacità di riuscire a trasmettere messaggi di uno spessore importante, anche a chi non è abituato, con vari stratagemmi commerciali. Non siamo più nell’era punk, ora più sei contro tutti e più non avrai successo. In qualche modo devi essere bravo ad adattarti a ciò che ti circonda mantenendo una forte identità, che lo reputo un atteggiamento molto più nobile a differenza dell’anarchico di turno. Parla dei progetti musicali a cui hai preso parte e su cui stai lavorando. In passato ho avuto due band, nelle quali ho militato come batterista e, per un periodo, ho anche suonato come turnista per racimolare qualcosa. Adesso invece ho abbandonato tutto per dedicarmi totalmente a questo progetto, che alla fine è un po’ come dedicarmi a me stesso, cosa che mi è mancata per tanto tempo. Ho dovuto anche dire di no a vari progetti, bellissimi tra l’altro, ma sono contento della strada che sto percorrendo Che temi affronti nei tuoi testi? La domanda che aspettavo! Scherzi a parte, le mie canzoni sono il frutto di varie riflessioni che ho avuto durante tutta l’adolescenza, quindi potremmo dire che trattano di temi adolescenziali, ma mi dispiacerebbe sminuirle così. Più che altro le parole chiave che ho bene in mente sono: ricerca, percorso, ostacolo, sofferenza, amore, in quest’ordine. Tengo molto al testo di una canzone,non ci perdo molto tempo, voglio sia il più rozzo possibile. Mi piace descrivere sensazioni, esperienze o storie attraverso le immagini. La maggior parte delle volte quando scrivo un testo fisso chiaramente delle “fotografie” in testa, molte delle quali hanno come soggetto principale la natura, cercando di rappresentare una determinata emozione o situazione. I tuoi eroi musicali? Sono troppi, ma se devo, dico Erik Satie, semplicemente perché le sue sono state le prime note che ho udito quando ancora ero un embrione. E sono anche le prime note che ho ascoltato appena nato, nel lettino dell’ospedale con un vecchio lettore cd, o almeno questo è quello che dice papà. L’EP verrà presentato a Casa Rubini, vicolo delle Taverenelle, Paestum, mercoledì 12 Aprile. Noi di Unico saremo presenti anche al sound check!
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