Pietro, l’autista dello scuolabus, sorride scettico sotto i baffi: ‘Da sempre questa zona si chiama Valle dei Monaci. Darle ora il nome di Valle dell’Asino…’. No, non c’è formalismo in Pietro, uno dei 46 abitanti di Pruno, un borgo rurale “diviso” tra Laurino, Piaggine e Valle dell’Angelo, nel Parco del Cilento e Vallo di Diano. E’ che cambiare il nome di questa valla dove oggi si avvistano le aquile e ieri pascolavano le greggi sarebbe una rivoluzione. Perché a Pruno la vita scorre tra riti rurali ed economia di sussistenza come cinquanta anni fa. E gli unici segni di modernità sono questo bus giallo e tre elicotteri neri. Si gira un film, come in Kosovo: niente servizi, nessuna infrastruttura, montagne brulle. Proprio come nei Balcani. Gli “innovatori”, quelli della Valle dell’Asino, insomma, si chiamano Angelo e Donatella Avagliano. Lui è di Salerno, lei di Palmi. Otto anni fa hanno detto addio alla città e si sono rifugiati qui. A raccontare la loro “fuga” è Angelo. In braccio ha Annarita, la bimba che hanno fatto nascere in casa, la prima dopo 25 anni a Laurino. Donatella, maestra d’arte, ascolta in silenzio. Ogni tanto richiama il cane, Mocci. Poi si allontana con un contenitore rosa: l’asino ha fame. Angelo: ‘La nostra è una scelta di vita. Abbiamo girato a lungo, e ci è sembrato che questo posto fosse il meglio conservato dal punto di vista naturalistico, sociale ed antropologico. Qui c’è ancora solidarietà, si zappa insieme il grano.’. Il grano, appunto. ‘Noi stiamo lavorando al recupero dei semi – come la “carosedda”, sopravvissuta alle mutazioni genetiche – alla rivalutazione sociale del grano, alle sue trasformazioni. Con la farina facciamo il pane, la pasta, le pappine della bimba. Con i germogli, ricchi di vitamine E, e la crusca, dei detergenti.’. Accanto al grano, l’asino. ‘Stiamo reintroducendo gli asini, i veri maestri di ingegneria naturalistica del Cilento, per utilizzarli nelle escursioni e nella onoterapia. C’è un accordo tra Valle dell’Angelo e Laurino per valorizzare la zona attraverso una sentieristica adatta ai viaggiatori.’. Li chiama proprio così, viaggiatori, perché qui si viene da viandanti e non da turisti. La casa è un rustico in pietra. I vetri sono stati recuperati da una pasticceria: e così il legno degli infissi. C’è il forno a legna, sul tavolo una dozzina di zucche allineate. ‘Facciamo ospitalità rurale, teniamo corsi di educazione ambientale, pratichiamo l’economia sostenibile, dall’acqua allo smaltimento dei rifiuti.’ conclude. Un po’ più su, dove i prati lasciano i posti ai boschi, vive la signora Maria. Cucina sul fuoco, l’acqua viene da una sorgente, gli ortaggi dall’orto. Sull’aia, appesi, peperoncini rossi e un pollo appena spiumato. ‘Ma è dura’ dice ‘non è più come ai tempi dei nonni, che stavano qui anche con la neve. E dove ci si divertiva con poco. Con un ballo. O’ ride ‘con la pannocchia rossa: bastava trovarla tra quelle gialle, nel pulirle: e si poteva baciare chi si voleva…’.
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