Se fino ad alcuni anni fa, da un punto di vista istituzionale, le province erano enti amministrativi del tutto simili ai comuni con un presidente e un consiglio eletti direttamente dai cittadini, attualmente la situazione è decisamente più complessa e a tratti confusa. E questo a partire dal nome. Parlare semplicemente di province infatti è, da un punto di vista amministrativo, molto riduttivo, essendo ora queste solo uno dei diversi “enti di area vasta” presenti sul territorio.
Oltre alle province infatti, sono “enti di area vasta” le 14 città metropolitane ma anche i 6 liberi consorzi comunali della Sicilia e i 4 enti di decentramento regionale (Edr) del Friuli-Venezia Giulia.
Un assetto questo delineato dalla legge 56/2014 ovvero la cosiddetta legge Delrio, oltre che da alcune leggi di regioni a statuto speciale che, come la normativa nazionale, rispondevano a un’idea molto diffusa in quella fase politica. Ovvero che le province fossero enti sostanzialmente da superare. Proprio per questo la legge aveva definito una disciplina che avrebbe dovuto essere transitoria, in attesa della completa abolizione delle province. La riforma costituzionale Renzi-Boschi infatti prevedeva che le città metropolitane restassero gli unici enti di area vasta presenti nel paese. Come è noto però la riforma non è mai entrata in vigore, visto il voto contrario al referendum.
Da quel momento la “normativa provvisoria”, seppur con qualche accorgimento, è rimasta attiva per 8 anni. Un periodo lungo in cui è diventato evidente come l’indebolimento degli enti di area vasta abbia rappresentato una criticità nel sistema istituzionale locale.
è proprio lo “svuotamento” della provincia ad aver mostrato l’utilità di enti complessivamente in grado di corrispondere alle funzioni di dimensione “vasta”, capaci di costituire un riferimento per l’intero sistema delle autonomie ed in particolare per i comuni, specie quelli di dimensioni minori
– Corte dei conti – Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali 2019-2020
La finanza delle aree vaste
Uno degli aspetti critici, relativi in particolare alle province, ha riguardato in questi anni il loro profilo finanziario. Intanto perché a questi enti si è iniziato a togliere risorse da ben prima della riforma Delrio. Inoltre perché questa riforma ha delineato un quadro finanziario del tutto incerto per enti che tuttavia rimangono attivi e titolari di competenze tutt’altro che residuali. È infatti alle province, o comunque agli enti di area vasta che spetta la gestione delle strade provinciali e la manutenzione dell’edilizia scolastica.
Come si sono stratificati i tagli sulle province, legge dopo legge
I principali tagli a carico degli enti intermedi dal 2010 ad oggi
FONTE: dati Uvi senato e Centro studi camera
(ultimo aggiornamento: lunedì 18 Novembre 2019)
Proprio per questo in diverse leggi di bilancio si è dovuti intervenire per assicurare la copertura finanziaria delle funzioni fondamentali delle province. Tuttavia la natura straordinaria e non continuativa di queste misure ha avuto un impatto molto negativo sulla capacità di programmazione degli enti. Infatti, le province gestiscono e manutengono oltre 5.100 edifici di scuole superiori e 120 mila chilometri di strade con oltre 30 mila ponti e gallerie, che per anni non hanno ricevuto dallo stato le risorse necessarie a garantire prima di tutto la sicurezza.
La sentenza della corte costituzionale su città metropolitane e Province
Ma a smuovere le acque sul tema degli enti di area vasta è stato soprattutto un intervento della corte costituzionale arrivato lo scorso novembre con la sentenza 240/2021. La consulta infatti, pur avendo dichiarato inammissibile il ricorso proposto, ha tenuto a specificare in alcuni passaggi del dispositivo la non infondatezza di varie delle questioni sollevate, invitando peraltro il parlamento a prendere provvedimenti.
Quello di sindaco metropolitano dunque è stato, secondo la corte, configurato come un incarico non elettivo. Proprio da questo quindi la consulta procede sottolineando come questa non elettività, legittima in sé, configuri un diverso rapporto tra cittadini e vertici istituzionali nelle province e nelle città metropolitane. Nelle prime infatti gli organi politici sono scelti attraverso un’elezione, seppur di secondo livello, nelle seconde no.
Nel caso degli elettori residenti in una provincia infatti il sistema elettorale prevede un’elezione di secondo livello. Oggi, ogni 2 anni, sono i consiglieri comunali e i sindaci del territorio provinciale a eleggere, al loro interno, il consiglio. Ogni 4 scelgono il presidente della provincia, che deve essere necessariamente un sindaco con almeno 18 mesi di mandato di fronte a sé.
Nel caso delle città metropolitane invece, come abbiamo visto, gli elettori residenti nel capoluogo concorrono in maniera diretta, almeno in termini sostanziali, all’elezione del sindaco metropolitano mentre gli elettori degli altri comuni non hanno alcuna voce in capitolo.
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