Sotto la mia terrazza, fra due piccolini faraglioni, i ragazzi si tuffano nell’acqua, appaiono, scompaiono. Quando rimettono fuori la testa, mi gridano “vieni giù, professore, son diventato pesce”. Sotto la mia terrazza vedo una conca marina. La mia donna è scesa giù per le scalette. S’è spogliata, s’è tuffata e quando riappare mi grida: “vieni giù, P. G., vieni giù sto diventando un pesce”. Anch’io vorrei diventare un’altra cosa, ma non posso cambiarmi in pesce. Il dottore non me lo permette. Quei ragazzi non sanno che invece io mi trasformo in nuvola. Vivere tra le nuvole non è una cosa difficile. Difficile è convincersi che sia possibile. Poi tutto il resto viene da sé. Basta lasciarsi espandere. Siamo gocce d’acqua pronte a diventar nuvola, se ci ricordiamo d’essere gocce d’acqua. Siamo colmi di affetti che chiedono soltanto di conquistare lo spazio, e vagare. Per diventare nuvola bisogna prima di tutto chiudere gli occhi e invitare il mondo fuori. Abbandonar ogni potenza di concentramento e non aver paura di sciogliersi, Non c’è nessuna cosa più piacevole di questo gioco di abbandono alle forze naturali;è come il ricordo di un ballo a catena con delle belle ragazze, che vi prendono a una a una per mano e vi lasciano dopo un istante di carezza per consegnarvi ad un’altra. Entrare dentro la stoffa di cui son fatte le nuvole vuol dire non trovare più ostacoli o contraddizioni. C’è sempre posto entro una nuvola per un pensiero. Per un affetto, per un desiderio, per una soddisfazione di più. Nulla è escluso. E nulla sorprende. Si vola e non ci si meraviglia di volare. Si mescolano i secoli e nessun professore corregge. Si penetra attraverso l’impenetrabile e non si prova difficoltà. Vivere tra le nuvole è vivere in libertà. Ora quando vedete una nuvoletta che attraversa lentamente il cielo, s’attarda a guardare il mondo, ora un po’ più spessa, ora un pò più rada, ora sfrangiata ed ora delineata e turgida, pensate che forse mi son trasformato in quella, son fuggito dalla porta o dalla finestra di casa o da una fessura come un fumo di sigaretta e sto recuperando una innocenza lontana come se mi fossi tuffato nel mare sotto la mia terrazza dove appaiono e scompaiono le teste dei ragazzi e quella della mia donna, che mi invitano a diventare un pesce. Un pesce non posso, ma una nuvola sì.
(Pubblicato in “L’amico di Vietri” – 25 giugno 1965)