Ecco, quando mi stabilii a Vietri sul Mare nel 1962 evidentemente intendevo far un cambiamento radicale di vita, perché venivo da New York,dove avevo avuto domicilio per trentasei anni; e insomma dalla più grande città del mondo (allora, oggi sorpassata da altre metropli)ad uno dei più piccoli villaggi dell’Italia meridionale. E pare che fui contento perché ci restai per ben anni sei, e ci sarei restato di più se l’Italia nel frattempo non fosse diventata, per un uomo della mia età, troppo inquieta e soggetta a traversie imprevedibili come scioperi, agitazioni, rumori, disordini, ritardi postali, sospensioni di servizi pubblici, mancanza di comunicazioni, silenzio di giornali, minacce di rivoluzioni, violenze personali, ed altri malanni del genere, sicchè me ne andai a stare in un altro paese che prometteva un po’ più di tranquillità e di stabilità,
Ma in quei sei anni mi trovai molto bene con la popolazione meridionale di Vietri che scoprii, contro l’oinione di molti connazionali sul Mezzogiorno, pulita, laboriosa,quando la gente trovava lavoro) onesta e gentile, E’ un certificato che vale soprattutto per il fatto che ora che non ci abito più e ne sono distante più di cinquecento chilometri e potrei sfogarmi a strillare ai quattro cantoni(dove trovassi chi fosse disposto a darmi retta) tutte le querimonie e tutte le rabbie che avessi in corpo, Invece no. Passai sei anni dei migliori della mia vita, e non dico che questo fosse dovuto tutto alla brava gente di Vietri, ma insomma essi non mi disturbarono, anzi fecero il possibile perché mi trovassi bene e se non fecero di più fu perché erano, in generale, assai poveri e io non li sollecitai mai, sicché non potendo fare per mostrarmi almeno tanta simpatia quanta io ne avevo per loro stessi, per il loro mare, per il loro paesaggio, per il loro cielo mi fecero dono della cittadinanza con una cerimonia che ebbe il merito di essere semplice e cordiale,Dopo di che continuai sul mio binario.
In quel tempo mi tenni, quant’era possibile alla larga da quasi tutte le autorità, e posso dire che fu un capolavoro il fatto che pur avendo con un illustre sindaco della vicina Salerno avviata una corrispondenza varie volte in varie direzioni, riuscimmo a non far mai la reciproca conoscenza personale., Soltanto coni comandanti dei carabinieri mi ricordo di aver avuto alcune conversazioni gradevolissime e illuminatrici che crebbero la stima e il rispetto che la maggioranza degll italiani, anche se sovversivi e rivoluzionari, hanno per questa arma devota al dovere e pittoresca. E mentre il mio amico Cecchi dichiarava di amarli “a cavallo, io li amavo anche ” a piedi”, per le strade e in caserma in coppia, di ronda e in parata, e persino travestiti in borghese Una volta ebbi l’occasione di essere trasportato da un autista in una vettura di un grande ufficiale governativo e capii subito che era un carabiniere. Mi dimostrava grande rispetto, ma quando tentavo di dirgli qualche cosa che avesse sentore di ironia o di spirito, non rispondeva, M chiese se l’aria del finestrino mi dava noia e gli dissi che non ero un cantante Fece un muso più duro del solito e non disse motto, Capii che aveva la consegna di consegnarmi al destinatario e l’ammirai; era una eccezione in Italia. Insomma a Vietri mi trovai molto bene e mi domanderete che cosa abbia a che fare con questa prefazione, Ve lo dico subito, ma forse avete già capito.
Vicino a Vietri c’è una piccola città ottocentesca che si chiama Cava dei T. E’ molto “distinta” e carina, quasi come una vecchia zia decaduta che abbia conservato certe antiche maniere. Ora la stanno circondando di fabbriche e di casoni moderni con le facciate aggravate da balconi portasapone, ma il centro rimane modesto,, ritirato, sommesso e, nello stesso tempo,tanto ” per bene”. Ci son persino dei portici, di venti fogge diverse un po’ malandati e sbilenchi, ma sembrano ricordare che un tempo ci si faceva “il passeggio””, oggi ci si può incontrare l’avvocato Apicella”, che tutti conoscono. Infatti è il proprietario, il direttore, il caporedattore, il redattore, il cassiere, lo spedizioniere di un periodico che esce una volta al mese chiamato “Il Castello, perché sopra la città si ammira ancora, senza poterci arrivare per una strada decente, un castello che non so a quale epoca rimonti, ma che fa una bella mostra sul cielo. Mi dicono che qualche volta, per scherzo o per sprezzo, lui stesso porti in giro il giornaletto e lo venda. Dev’essere stato uno scandalo tra i benpensanti. Non so bene chi mi fece far l sua conoscenza, forse un ragazzetto che m’aveva scritto quando era ancora al liceo ed aveva la vocazione al giornalismo che gli faceva pruder la penna. L’avvocato Apicella mi riuscì subito simpatico, probabilmente per tutte quelle ragioni che lo rendevano che lo rendevano, non dirò antipatico, ma certamente uno strano uccello tra i suoi concittadini di pollaio, Così tra lui e qualche altro di Cava dei Tirreni incominciò quello che nel linguaggio classico e romantico si chiamava un “sodalizio” Ogni tanto lui ed alcuni di Cava dei Tirreni venivano a casa mia e qualche volta loro mi invitavano in un caffè di Cava. C’era un professore di italiano nelle scuole medie, che orazionava come un tribuno; un anziano insegnante di filosofia, che per la maggior parte del tempo taceva, ma aveva l’ultima parola; un buon giornalista locale; e persino una bella signora che era stata eletta consigliere comunale; e poi si aggiungeva un avvocato dell’ottocento, ultimo “podestà” di un paese della riviera amalfitana, che sapeva scrivere ancora nel gergo letterario del suo tempo.
Io abitai in quegli anni un “quartino” di tre vani in una casa popolare di fresca costruzione in una zona tra mare e paese, sulla schiena di un promontorio che andava a finire nel mare con una punta scogliosa ed una torre quadrata costruita nel secolo decimo sesto contro le incursioni dei saraceni, Il popolo lo chiamava quel dosso La Crestarella e quando lo feci stampare sulla mia carta da lettere questo indirizzo chi sa quanti credettero che fosse per snobismo; il fatto sta che il Comune di Vietri non aveva ancora dato un numero al cancello d’entrata di quel curioso ammasso di scalinate e di scatolette di cemento aggrappate alla roccia, nel quale quasi ogni appartamento aveva una terrazza prospiciente al mare faceva da tetto ad un altro appartamento. Riuscii,dopo un periodo di assaggio, ad averne per me uno che sovrastava gli altri, e la terrazza sua era più larga dello spazio che abitavo.
Davanti avevo il mare di Omero;ogni mattina,quando ci si alzava dal letto, si guardava fuori e si diceva,con mia moglie: Come abbiamo fatto bene a fermarci qui. Nessuno dei miei colleghi in giornalismo, credo, sarebbe stato del mio parere,Anche oggi ho davanti a me una distesa d’acqua¸è uno dei più bei laghi della Svizzera; a me par più bello di tutti,perché + come una pietra preziosa è incastonata fra monti, mentre gli altri son contenuti da a altopiani, Non è classico; è romantico. Non sto più con Omero, ma con Lamartine. A poca distanza da Vietri, e proprio davanti alle mie finestre, dall’altra parte del golfo di Salerno, scorgevo col cannocchiale i templi di Paestum. Lì ‘ vicino c’è Vatolla dove Vico visse insegnando a stupidi nobilucci e meditando per proprio conto sulla storia dell’umanità. Qui son Cattaneo e non è cattiva compagnia Ho saputo scegliere,Così in una angusta stanza venivano a trovarmi “gli amici di Cava. La stanzetta si riempiva di voci, di fumo, di propositi e di spropositi, di proteste e contraddizioni, di pistolettate, di inchieste e di raffiche di risposte. Come accade in tante altre riunioni d’amici,anche delle nostre nulla resta.Tutto attraversò l’aria,entrò per le orecchie e svolazzò per un momento nella mente, poi sparì.
A me resta il ricordo della sola compagnia regolare che ebbi in quegli anni. Fui invitato a parlare di qui e di là,in una scuola dove insegnava un professore di filosofia, in un club di “rotariani” o di “leoni”, in circoli di studenti, ma in nessun luogo trovai la stessa agitata concordia discorde del gruppo di Cava dei Tirreni che mi ricordava certi anni di gioventù. Negli altri posti parlai, fui ascoltato religiosamente, fui alla fine applaudito e accompagnato e salutato come di dovere fino alla porta e poi finì tutto lì. Ora l’avvocato Apicella è convinto che una mia prefazione gioverà al suo libro. Credo che si sbagli, La maggior parte dei suoi possibili lettori non conosce il mio nome, mentre conosce benissimo lui di persona. Egli è in Cava dei Tirreni una presenza ed insieme una leggenda. Io fui un’apparizione….. Ma l’avvocato è ostinato. Dice chela prefazione ci vuole. Anche se non parla del libro. Eccola qui,E’ l’omaggio ad un uomo curioso e indipendente, come me, che ha preferito dir la sua, e non fare fortuna,. E’ l’omaggio ad un paese simpatico dove non ho vissuto, ma dove trovai compagnia. E’ isomma un debito di riconoscenza che pago.
(da Prefazione in Domenico Apicella. Iritteantice ovvero i proverbi napoletani. Il Castello. Cav dei Tirreni, 1972)