di Antonio Pecoraro Ho girato circa tre quarti d’ora per il centro di Eboli ma tutti mi rispondevano di non conoscere il MOA “Museum of Operation Avalanche”. Mi hanno infatti indirizzato al Museo Archeologico Nazionale e quindi girando per il centro storico della cittadina della piana ho potuto visitare vicoli e rue a saliscendi a me sconosciuti, e la loro inimmaginabile bellezza. Mi sono chiesto chissà perché i cittadini non sanno che nella loro città esiste un museo di così rilevante importanza: parla della loro memoria, dello sbarco nella nostra Piana, nel golfo di Salerno, dovrebbe essere il fiore all’occhiello della municipalità, invece niente di tutto ciò, la gente non sapeva dell’esistenza del Museo dello sbarco alleato del 1943. Ci stiamo avvicinando al 25 aprile una festa importante che celebra la Liberazione, non rimarcando la memoria si rischia di rimanere un luogo dal guscio vuoto. Una Piana del Sele senza storia. Eppure Eboli è quel varco di confine verso le terre del Sud, oppresse, ma ricche di coscienza sociale, come scrisse Carlo Levi nel suo famoso romanzo di denuncia. Il libro, presentato al MOA, edito da Feltrinelli, è stato scritto da Mimmo Franzinelli un valente storico, autore di vari saggi sulla storia contemporanea e antologie letterarie sul periodo fascista e da Nicola Graziano primo difensore civico della città di Aversa e ora autorevole magistrato. Appena entro nel Museo vengo catturato dalle numerose foto in gigantografia che narrano lo sbarco degli alleati del settembre del ’43. Una su tutte mi colpisce: un ragazzino, un adolescente, vestito di panni lesi, con la sigaretta in bocca, un medico militare gli sente il polso con una mano e con l’altra ha il cronometro per misurare i battiti, al loro fianco un militare col moschetto in spalla ed al fianco, presumo, il padre del ragazzino, con la coppola e tiranti che mantengono i pantaloni, sopra una maglia bucata dalla miseria più che dai proiettili della guerra, che attende, ansioso il responso del medico che mantiene per tutto il tempo la sua pipa accesa. Se dovessi spiegare a un ragazzino, oggi, cosa è stata la guerra e le sue conseguenze e i suoi effetti in quel frangente storico, nel nostro territorio, cosa è stato lo sbarco di Salerno, lo manderei sicuramente a guardare quelle bellissime foto al MOA. Che parecchi ebolitani ignorano. Purtroppo. E che anch’io ignoravo pur abitando a venti km. da Eboli. Erano presenti alla presentazione il dott. Giuseppe Fresolone docente di Storia Contemporanea all’Università di Salerno e direttore del MOA, il Prof. Giuseppe Manzione (il suo intervento ricco di aneddoti storici sul dopoguerra), il giornalista Oreste Mottola in qualità di moderatore ed uno degli autori Nicola Graziano. Il libro sviscera un aspetto poco noto dell’epopea del periodo della Resistenza: il triste destino di molti Partigiani “pazzi per la libertà” dopo la fine della guerra di liberazione, raccontando la storia, ai più sconosciuta, di coloro che la Resistenza l’hanno vinta militarmente ma persa nella vita. Al termine del secondo conflitto mondiale, in quel periodo complesso che vede l’Italia transitare dal regime fascista verso la democrazia, la magistratura (forte della mancata epurazione fascista) processa centinaia di ex Partigiani per reati commessi durante la lotta al nazifascismo e nell’immediato dopoguerra. Per tutelare gli antifascisti incriminati, gli avvocati della difesa ricorrono alla seminfermità mentale, suggerendo il manicomio come alternativa al carcere. L’accorgimento si rivelerà ben presto controproducente. Nel 1946 l’amnistia Togliatti (all’epoca ministro di Grazia e Giustizia), da cui la detenzione manicomiale è esclusa, genera uno scenario paradossale ma emblematico: la scarcerazione per i fascisti e l’esonero dall’indulto per i Partigiani reclusi in manicomio. Un’odissea Partigiana è costruito sostanzialmente su due fonti, entrambe inedite: i fascicoli personali dei Partigiani internati nell’OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) di Aversa, atti a ricostruire la drammatica esistenza di molti Partigiani nel periodo post bellico; e l’archivio personale di Angelo Maria Jacazzi, (morto nel febbraio di quest’anno a 89 anni) all’epoca giovane segretario della sezione di Aversa del PC che, attraverso il suo impegno solidaristico ha rappresentato il tramite tra i “pazzi per la libertà” e le loro famiglie, segnalandone la situazione ai parlamentari della sinistra e ai comitati di solidarietà al fine di darne eco. Accortosi che quell’esperienza era assolutamente sconosciuta, ha consegnato al magistrato Nicola Graziano il suo archivio, contenente carteggi, copie delle sentenze, vari memoriali e fotografie. Partendo proprio da quel materiale, Franzinelli e Graziano hanno reperito ulteriori informazioni, fondamentali per lo sviluppo di questa vicenda così drammatica eppur così ignorata. Un libro da leggere, sicuramente, di grande valore storico e umano.
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