Ormai per l’attuale governo scolastico è quasi giunto il tempo dei percorsi INDIRE; un corso leggero introdotto e fortemente voluto dal Ministro Valditara e dal MIM. La formazione sul sostegno INDIRE sarà strettamente riservata agli insegnanti di sostegno in possesso della specializzazione conseguita all’estero. Verrà data, inoltre, possibilità di frequentare i corsi INDIRE ai docenti triennalisti, ovvero agli insegnanti che hanno maturato almeno un triennio di servizio sul sostegno nell’ultimo lustro. Implacabile si eleva il grido di contestazione da parte di quanti hanno conseguito il titolo di specializzazione negli atenei italiani. Considerevole si rivela l’apprensione del Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati sul Riconoscimento dei Titoli Esteri e il Mercato della Formazione Privata. Segue il loro comunicato: “Come Collettivo di Docenti di Sostegno Specializzati, esprimiamo forte preoccupazione per il crescente fenomeno della specializzazione sul sostegno ottenuta all’estero, promosso da numerose agenzie formative che hanno trasformato la formazione dei docenti in un mercato redditizio. Negli ultimi anni, si è assistito a un proliferare di corsi destinati quasi esclusivamente a candidati italiani, presentati come un’alternativa più semplice e veloce rispetto al percorso ufficiale previsto in Italia. Questo fenomeno solleva interrogativi sulla reale qualità di questi percorsi e sul loro impatto sul sistema scolastico nazionale. Il falso mito del numero chiuso nei percorsi esteri Alcune agenzie formative, per dare maggiore credibilità ai loro corsi, affermano di applicare un numero chiuso per l’accesso ai percorsi di specializzazione all’estero. Ma su quali basi viene stabilito questo limite? Chi decide il numero di posti disponibili? Esiste una reale selezione, oppure si tratta di un semplice espediente per aggirare la normativa italiana? In Italia, il numero di posti per il TFA sostegno (Tirocinio Formativo Attivo) viene stabilito annualmente dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) in base a criteri oggettivi: Le richieste delle scuole: il numero effettivo di docenti di sostegno necessari per garantire il diritto all’istruzione inclusiva. La capacità formativa delle università accreditate: che devono garantire un percorso di qualità con personale qualificato e tirocini formativi obbligatori. Le indicazioni ministeriali: che regolano la programmazione per evitare un eccesso di specializzati rispetto alle possibilità di impiego. Al contrario, l’etichetta “numero chiuso” nei percorsi di specializzazione all’estero appare come un semplice escamotage per conferire un’apparenza di selettività e aggirare la normativa italiana. La vera domanda è: chi verifica l’effettiva trasparenza di queste prove di accesso? Esistono commissioni indipendenti, come in Italia, che valutano i candidati con criteri rigorosi? Oppure siamo di fronte a un sistema costruito per facilitare il conseguimento del titolo senza un reale filtro meritocratico? L’impatto di un riconoscimento indiscriminato dei titoli esteri. L’eventuale riconoscimento di questi titoli, senza una verifica rigorosa della loro equipollenza, avrebbe conseguenze gravi per il nostro sistema scolastico. La specializzazione sul sostegno in Italia è nata con un numero contingentato per garantire la qualità della formazione e rispondere al fabbisogno effettivo delle scuole. L’inserimento di migliaia di docenti specializzati all’estero rischia di compromettere l’equilibrio del sistema, creando un eccesso di figure professionali che non potranno essere assorbite e aggravando la precarizzazione della categoria. Oggi, centinaia di migliaia di docenti TFA in Italia sono ancora in attesa di stabilizzazione. Ha senso introdurre nel sistema nuove figure formate attraverso percorsi poco trasparenti, mentre chi ha seguito un iter selettivo e strutturato in Italia continua a vivere nell’incertezza lavorativa? Inoltre, la cosiddetta “sanatoria” proposta per questi titoli si basa sull’idea che possano essere equiparati ai percorsi italiani con una semplice integrazione formativa. Ma il nostro modello di specializzazione è il frutto di anni di esperienza nel campo dell’inclusione scolastica: possiamo davvero permetterci di abbassare il livello di preparazione per favorire logiche di mercato? Un appello per la tutela della qualità della formazione. Chiediamo con forza che venga attuato un sistema di verifica rigoroso e trasparente, che impedisca il riconoscimento di titoli ottenuti tramite percorsi nati con il solo scopo di bypassare le regole italiane. La formazione degli insegnanti di sostegno non può essere ridotta a una mera transazione commerciale: è un pilastro fondamentale per la qualità dell’inclusione scolastica e per il diritto degli studenti con disabilità a ricevere un’istruzione adeguata”.
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