Pierdomenico Di Benedetto è medico di medicina interna a Salerno ma è originario di Polla e qui da circa due settimane è stato ricoverato in ospedale perché ha contratto il Covid 19. Per qualche giorno è stato trasferito nel post Covid perché le sue condizioni sono decisamente migliorate. Una duplice veste la sua da medico e paziente che non ha mancato di sottolineare. Da qui parte il suo racconto. “Voglio ringraziare innanzitutto gli angeli bianchi, medici infermieri e portantini che con grande dedizione, apertura, competenza ci proteggono e ci somministrano le cure – esordisce – sono in fase di guarigione, il focolaio si sta spegnendo. Me la sono vista un po’ brutta ma sto meglio adesso”. Poi racconta come è arrivato in ospedale a Polla: “Il 2 aprile ho avuto la risultato al mio tampone fatto il 1 aprile, ero positivo, mi sono allora ricoverato perché la tosse e la febbre cominciavano ad essere importanti. Pur avendo intenzione di curarmi da solo a casa, non ci stava molta possibilità di farlo. Non c’era possibilità di reperire in farmacia il Plaquenil, un farmaco che si sta usando per curare la malattia, non se ne trovava alcuna confezione in giro. Tra l’altro si tratta di un farmaco che dopo qualche giorno può dare qualche problema per cui va monitorata l’attività elettrica del cuore, è importante quindi che la terapia venga iniziata subito nel sintomatico ed è importante che ci sia un controllo clinico medico del paziente che inizia a fare la terapia. La tempestività della terapia è la prima cosa e il controllo in corso della terapia è l’altra cosa indubbia e inevitabile, questo dovrebbe essere l’input del post pandemia cioè dobbiamo pensare che purtroppo le pandemie ogni tanto avvengono e dobbiamo essere pronti ad affrontarle con una medicina del territorio vera, con unità speciali che vanno a casa del paziente e impostano la terapia. È chiaro che in una epidemia la cosa importante è evitare di andare in ospedale allora va monitorato il domicilio del paziente ma ci vogliono anche i mezzi, le strutture, le risorse soprattutto pubbliche. Sono infatti le aziende pubbliche che devono prendersi carico dei pazienti”. Poi torna sulla duplice veste di medico e paziente: “Il ruolo di medico è molto scomodo – continua Di Benedetto – perché avendo qualche nozione in più forse ti fa avere un po’ di paura in più, ma è anche illuminante dall’altra parte perché ti rendi conto della fragilità anche psichica dei pazienti. Il paziente infatti è solo di fronte la malattia perché non ha contatti con nessuno tranne con gli occhi degli operatori sanitari che vengono a prendere i parametri, che vengono a curarti, a controllarti. Quindi sei tu da solo con la tua fragilità umana e il medico lo è in più perché si rende conto che ci sono campanelli d’allarme e può anche ingigantire le sensazioni. È importante però pensare che la malattia ti mette nudo di fronte il problema, questa è la sensazione che hai, una sensazione di impotenza unita alla paura. Vedere persone che muoiono nella stanza accanto per la stessa patologia di cui stai soffrendo non è facile, allora sei preoccupato per qualsiasi nuovo fatto che avviene. Una brutta sensazione naturalmente acuita dal fatto che sai qualcosa in più ma l’essere nudi di fronte la malattia soprattutto infettiva quando cioè nessuno può avere contatti con te”. Solitudine e paura nell’affrontare una patologia a tratti ancora sconosciuta anche se proprio dal presidio ospedaliero di Polla giungono storie di amicizia nate perché accumunate dalla malattia. “A Polla vi è un team sanitario molto affiatato – dice ancora il dottor Di Benedetto – che ha riconosciuto il fatto che il Covid 19 sia appunto una malattia nuova il e quindi ha tratto insegnamento giornaliero da tutto ciò che veniva pubblicato nel mondo. Ha studiato come si curavano i sintomi a corredo di questa patologia, non si cura cioè il coronavirus ma ciò che questo determina. Ci sono allora terapie di supporto per impedire quella cosiddetta cascata infiammatoria che è quella temibile che fa andare incontro all’insufficienza respiratoria o si è visto alla micro coagulazione infra polmonare che è la complicanza che porta alla letalità”. Il medico paziente riferisce che si sente bene adesso, non ha la febbre da molti giorni. “Sono negativo a due tamponi, il mio sistema immunitario ha riconosciuto questo virus, ha fatto conoscenza con esso e ha iniziato a sviluppare anticorpi così mi sono negativizzato – termina – questa è la cosa importante. Ogni 20/30 anni parte un virus per cui dobbiamo essere pronti. Il contagio avviene per contagio diretto con la persona infetta, famiglia luoghi di lavoro ed ospedali, non ci si contagia per strada, è un virus che si sconfigge con le mascherine. Si sconfigge proteggendo gli operatori sanitari che andavano protetti e formati prima, è un virus che dobbiamo combattere con la prevenzione”.
Antonella Citro