Ho scritto molti articoli su Piaggine, sui suoi monti, sulla sua gente che ancora vi risiede e su quella che vive altrove …
Mai come nel caso dell’articolo relativo alla vicenda di don John ho avuto tante attestazioni nel merito di quanto ho scritto! Da un lato la cosa mi fa piacere, da un altro mi preoccupa!
Nel primo caso vuol dire che, come succede raramente a chi scrive, ho colto bene il senso di smarrimento di una comunità intera di fronte al fatto di sentirsi defraudata del diritto a volersi sentire ancora viva e capace di sorridere alla vita.
Nel secondo caso mi preoccupa il fatto che solo una scossa provocata dall’adrenalina riversata sulle coscienze venuta dall’esterno grazie all’innesto di un nuovo parroco nel vissuto quotidiano è stato possibile un risveglio della coscienza collettiva.
Da qualche anno cammino molto per le strade del parco che collegano piccoli borghi sonnacchiosi e privi di quella vitalità necessaria per rendere un popolo comunità.
In ognuno dei piccoli borghi è facile ritrovare atteggiamenti simili sia nell’osservare la gente seduta davanti ai bar, sbirciando nelle cucine delle abitazioni, entrando nelle chiese … la vita che scorre noncurante del futuro, piegata nel presente contingente e sbirciando nello specchietto retrovisore di quello che è stato.
Il tempo non è scandito dall’oggi al domani, ma è segnato da momenti lontani tra loro come il cambio delle stagioni, la festa del santo patrono, il rientro dei “fuoriusciti” … poca importanza ha la quotidianità che non riserva sorprese o scossoni. Anche i decessi sono diventati una normale pratica da sbrigare con la visita di circostanza ai familiari del defunto e l’attesa fuori dalla chiesa per porgere le condoglianze di rito.
È in questa cornice che ha preso vita la “vitalità” della gente del mio paese. L’occasione l’ha data l’arrivo di un giovano prete inviato dal vescovo della diocesi di Vallo della Lucania, Ciro Minieri. Don John non ha fatto altro che il suo dovere, anzi penso che abbia fatto proprio ciò il vescovo stesso gli avrà chiesto quando gli ha comunicato la sua nuova destinazione: vai e rianima la comunità Piagginese in quanto ne hanno proprio bisogno!
Il merito del giovane prete è stato quello di voler dare una scossa forte per risvegliare la coscienza di una comunità sonnolenta e ritratta nei suoi riti “pagani”: si è seduto davanti al bar di Valle dell’Angelo con il sindaco Salvatore Iannuzzi (in quell’occasione l’ho conosciuto per la prima volta), ha spiegato come avrebbe voluto esercitare la sua missione sacerdotale, ha dedicato tempo agli anziani, ha chiamato a raccolta i pochi ragazzi per paese, ha fatto risuonare le campane, ha reso di dominio pubblico il rendiconto di venivano impiegati i soldi delle offerte, si è recato nelle case dove i malati soffrivano, ha perfino convocato la gente al cimitero il giorno dopo la festa patronale …
Tutto ciò è stato fatto con una velocità degna della modernità che tutti noi viviamo con un certo affanno.
Non è dato sapere come andrà a finire la vicenda di don John per quel che riguarda la sua permanenza a Piaggine. Ma una cosa è certa! Lui stesso o chi arriverà dopo di lui dovrà confrontare il suo modo di interpretare il magistero di parroco con quello che ha fatto il “parroco d’agosto”.
Intanto, cosa può fare la comunità che si è spesa e si sta spendendo per tentare di trattenerlo?
- Prima di tutto può organizzarsi
- può continuare ad essere comunità che agisce insieme nell’interesse generale;
- può garantire più assistenza agli anziani che soffrono la solitudine, oltre che i malanni dell’età;
- può chiedere che il medico non sia solo un sottoscrittore di ricette;
- può uscire di casa e riappropriarsi dei tanti spazi comuni che sono vuoti;
- può ribellarsi al destino che vorrebbe i nostri borghi destinati a finire;
- può far prevalere il bene comune che poi è il denominatore comune per vivere al meglio la propria esistenza;
Si tratta di non disperdere la spinta “propulsiva” che la decisione calata dall’alto di privarli di un elemento trainante della comunità ha messo in moto ed esprimere un “motu proprio” per continuare a far vivere lo spirito di don John è in ognuno di noi ma rimane soffocato a causa della mancanza di coraggio per farlo venire allo scoperto.
Se questo non accadrà, sarà un gioco facile per chi già oggi sentenzia che la levata di scudi è una vampata d’orgoglio ferito e non una vero risveglio dal torpore nel quale si sogna un futuro impossibile restando ben ancorati al presente che, senza badare a noi, è già passato.