Zia Annina, la barista, ha accompagnato la mia vita da adolescente dai 12 ai 18 anni, fino alla conclusione degli esami di maturità magistrale.
Lei, Maria Anna Nigro; e suo marito, Pasquale Butrico; hanno vissuto le loro esistenza in fronte alla mia casa in via G. Ricci, in Piaggine.

Pasquale, ex pastore, e Anna rilevarono un bar e assunsero il ruolo di dispensatori di caffè, vino, cappuccini, colazioni, birra, vino, gelati e quant’altro si potesse consumare al banco e ai tavolini che, ora come allora, si allargano e si ritirano sulla piazza Vittorio Veneto.
La piazza che, nel tempo, ha soppiantato gli altri punti di ritrovo del paese diventando il baricentro della vita politica, sociale, sportiva ed economica del paese.
A metà degli anni ’60, con l’istituzione dell’istituto magistrale, che fu ospitato nel nuovo edificio scolastico costruito per trasferirvi la nuova scuola media unificata, di fianco al campo sportivo, l’investimento sul bar fatto da Pasquale e Annina, fu un vero e proprio colpo di fortuna. Da quel momento in avanti, la vita politica di Piaggine ha trovato anche due plateali spazi di confronto.

In questo “brodo” Annina, che si alternava con il marito nella gestione del bar, assunse un ruolo predominante nella parte della giornata che vedeva gli studenti del paese e quelli provenienti dai paesi situati sulle due sponde della Valle del Calore: di alcuni era conoscente, di altri confidente, dei forestieri punto di riferimento, di tutti gli altri affabile dispensatrice di indicazioni e consigli.
È stato in quel periodo che ha affinato l’eloquio calmo e continuo che non ha mai più abbandonato. Con la cessione del bar a Giovanni Di Perna famiglia, anche loro residenti in via Roma (oggi G. Ricci), Annina si ritirò, a malincuore, nel vicinato ma mantenendo sempre una propensione al “sapere” degli altri senza mai dimenticare di raccontare aneddoti e situazioni di vita vissuta nel tempo andato: “quando avevamo il bar …”
Annina aveva tre figli … Lucia, Ersilia e Carmelo! Purtroppo ha dovuto attraversare il dolore della perdita della prima e dell’ultimo figlio che ha sconquassato la serenità della sua esistenza. Ma è stato ammirevole il modo in cui ha saputo rialzarsi e continuare ad essere fieramente ancora nonna e madre.
Con Annina, troneggiavano davanti al portone di Franco Nigro, e donna Chiarina sua moglie; anche mia madre Giuseppina, che l’ha preceduta di qualche anno oltre la “vita”; mentre, c’è ancora Anna Rizzo, l’ex ricamatrice; e Grazia Cavallo a mantenere accesa la fiammella dei ricordi.
Quando mi recavo a far visita a mia madre Giuseppina e arrivavo davanti alla fontana di via G. Ricci, lì dove ha inizio la discesa che porta alle spalle della chiesa di San Nicola; il quadro che, immancabilmente, mi si parava davanti era composto da queste quattro donne che si raccontavano esperienze di vita vissuta, di fatti accaduti in paese e riportati da una di loro alle altre, concordavano di scendere insieme a messa, raccontavano di figli e nipoti vicini e lontani, recitavano il Rosario nel mese mariano …
Con la morte di mia madre Giuseppina (nel 2021) e di Annina (oggi), il gruppo lascia “orfane” di compagnia e di infiniti racconti Anna e Grazia.
Sono queste due donne che continueranno a vedersi e a farsi compagnia, a continuare la tradizionale opera di tenere viva la memoria storica di un vicinato che il tempo e l’abbandono da parte di noi, un tempo giovani, ha reso troppo largo.
Saranno loro le infaticabili ricamatrici di ricordi che richiamano alla mente chi è andato, che interferiscono con quel che resta e ci fanno sentire ancora il profumo antico di un luogo da dove, inopinatamente, siamo partiti lasciando flebili tracce.
Lo devo confessare, per anni sono tornato a Piaggine solo per passare qualche ora insieme a mia madre Giuseppina. Ero felice di fermarmi a raccontare di me e ad ascoltare degli altri sulla panchina della memoria. Da qualche anno, torno più volentieri in via G. Ricci e mi soffermo spesso con la mente a quanto era vivace quel luogo nel tempo in cui eravamo tanti ad animarlo con ogni genere di scherzo, richiamo e perfino litigi.
Da Anna si riunivano le ragazze ad imparare il ricamo e noi ragazzi venivamo tenuti a “distanza di sicurezza; sulle scale di Filomena, Antonietta, Anna e “diverse” Maria, più sopra c’era Carmelo e i tre figli di Grazia e Cosimo; si rincorrevano tutti i tipi di giochi; a casa mia si radunavano le donne per vedere il “festival” …
Crescendo, ognuno è cambiato mutando in un mondo che si apriva agli influssi dei paesi della Valle del Calore, ma per lungo tempo, fin quando non siamo “partiti” per vagare in altri mondi, bastava imboccare via Gaetano Ricci (via Roma di un tempo) per riconoscerci così com’eravamo …
Fino a pochi giorni fa ci ricordava così anche Annina che, affacciata sul balcone, avvisava le altre di chi rientrava nel vicinato sia pur per una visita che appariva sempre troppo breve e che lei mi rinfacciava sempre: “Bartolo ma già te ne vai?”
Un po’ mi sono sempre “vergognato” e salutavo adducendo i motivi che mi facevano andare … sapevo bene che io o altri, che in quel luogo siamo cresciuti, non appena saremmo ricomparsi all’altezza della fontana saremmo stati riconosciuti e indicati alle altre del gruppo con commenti benevoli su quello che eravamo diventati.
In quel gruppo, che mi accoglieva con sorrisi, domande e qualche rimprovero (soprattutto di mia madre), mi tuffavo a chiedere di loro, a rispondere di me e della mia famiglia, a rimestare nel tempo già andato, a tentare di farmi perdonare di essere più “vivo” in mezzo a loro che sapevano parlare all’infinito …
Come Annina che non mancava mai di rispondere con cognizione di causa alle mie richieste di informazioni su chiunque del paese, vicino e lontano, mi venisse voglia di sapere.
A lei che ha sofferto con dignità atroci dolori per la perdita di Lucia e Carmelo; a Ersilia e Carmelo, suo marito; a tutti i nipoti e a quanti le hanno voluto bene un abbraccio da parte di chi ha sempre scrutato la via e il balcone che la sovrastava per riconoscere il suo saluto rallegrato dal sorriso armonioso che non poteva esprimere “allegria” ma solo la paziente rassegnazione del “vivere” …