«Non c’è amore più grande che dare la propria anima per gli amici», così ha esordito un Putin osannato da una folla oceanica che sventolava bandierine in uno stadio stracolmo. Moltissimi i giovani, convocati “spintaneamente”, invece di comunicare gioia e serenità, hanno ricordato le algide cattedrali di cristallo degli anni Trenta del Novecento nella civilissima Berlino, preda delle manie di grandezza di un caporale dalla psiche molto problematica. L’emulo di Mosca, ha citato un passo del Vangelo di Giovanni per sollecitare al sacrificio i suoi giovani soldati al fronte. Così in modo blasfemo ha strumentalizzato le parole ad una delle espressioni che meglio descrivono ciò che significa essere cristiani. In tal modo ha dimostrato di essere veramente un albero senza frutto di bene, come si è legge nella parabola proposta la scorsa domenica. Dovrebbe, perciò, ritirarsi in uno dei tanti monasteri della madre Russia e nel silenzio penitenziale meditare sul radicale cambiamento di mentalità e di atteggiamenti ai quali lo invita il Cristo, occasione per operare un radicale discernimento e bloccare la tragica, assurda e prematura morte di tante persone, della quale è l’unico responsabile. Chi si macchia di questi crimini non potrà mai prevalere perché il male non è il vero il motore della storia. Infatti, noi siamo convinti che Dio lotta con noi contro ogni ingiustizia donandoci la grazia della conversione, cioè la possibilità di cambiare rotta per evitare di andare a sbattere e perire.
Nelle Scritture sono numerosi gli episodi che descrivono situazioni di prepotenza e crudele sopraffazione andati male. Il primo, causato da mera gelosia, è quello di Caino. Il suo delitto, perpetrato all’origine dei tempi, anticipa tutti altri crimini. In noi generano angoscia e paura, ma non si blocca chi fracassa contro il muro il cranio dei neonati, chi li spinge dentro le camere a gas, chi getta bombe su centinaia di migliaia, su milioni di esseri viventi, quanti acclamano chi ha dato l’ordine di sterminare, di martirizzare i corpi e di gettarli ai cani. A coloro che inneggiano in queste circostanze occorre ricordare che la conquista è vana, il possesso diventa morte perché il vero vivere non è prendere, ma donare.
Se questa riflessione non è sufficiente, allora diventa istruttivo sfogliare le pagine che vedono in azione l’armatissimo Golia e Davide, imberbe giovinetto. Sembra che, quanto è avvenuto in quella spianata della Palestina, si stia ripetendo nelle steppe della Ucraina. Il gigante, sicuro di sé, prima irride poi rimane sorpreso ed interdetto per la determinazione di un popolo a difendersi per amore della libertà. Sappiamo come allora è andata a finire, per oggi auguriamo un altro finale, quello prospettato dal passo del vangelo di Luca letto la scorsa domenica.
Gesù ribadisce che la vicinanza di Dio deve abituare ad analizzare concretamente i fatti perché anche i più drammatici possono indurre alla conversione se aiutano a riflettere. Per rendere più chiaro il suo pensiero Egli racconta la parabola del fico, il cui significato riprende il tema della vicinanza di Dio nel tempo che abbiamo a disposizione per beneficiare della sua misericordia. La sua è innanzitutto una vicinanza salvifica, da utilizzare per celebrare la riconciliazione, che nella nostra vita corrisponde al tempo della pazienza di Dio per radicare una fiduciosa speranza ed emendare il nostro io plasmando un cuore nuovo. Quindi il “convertitevi” evangelico si traduce in un “amerai”, semplice da pronunciare ma complesso da praticare, ecco perché Dio concede tempo per convertirsi.
E’ la necessaria inversione di rotta per una umanità che deve cambiare modalità di relazioni per consolidare la fraternità, procedere a una gestione politica orientata al bene comune, praticare scelte economiche improntate alla giustizia distributiva, convincersi che la terra è la casa comune da preservare con una accresciuta sensibilità ecologica, una ricetta per far cessare le guerre e ristabilire la pace.