di Monica Acito Raccogliendo diffusamente le opinioni di varie fasce della popolazione di ,
le reazioni e tutto ciò che tale situazione ha generato.
Innanzitutto i perché di tutto questo, i motivi che hanno portato a questa deriva.
C’è chi parla di un motivo propriamente generazionale, accennando agli imprenditori
agricoli di una volta che riuscivano a far fronte alla situazione con la pensione e col
reddito marginale dell’agricoltura, sostenendo l’ipotesi di un mancato ricambio
generazionale nell’azienda agricola. Ciò avrebbe portato il tessuto economico
del paese a diminuire, a dissolversi lentamente.
Tessuto economico scarso, rispetto alla Cantina Sociale che era la seconda cooperativa
per quanto concerneva la trasformazione del prodotto. In molti ritengono opportuno parlare del ruolo dell’emigrazione giovanile in questa vicenda.
Logicamente i tempi sono cambiati da un bel lustro, i figli di contadini o imprenditori agricoli
non è detto debbano intraprendere la stessa strada, ma a maggior ragione, in tempo di
difficoltà e di insufficienza del reddito agricolo del territorio e di fronte a un’azienda
che non riesce a sopravvivere, gran parte di essi ha preferito, com’è logico che sia, non trattenersi e evitare di investire in quest’ambito.
Per forza di cose, le aziende agricole si sarebbero ridotte di moltissimo e la Cantina
si sarebbe trovata sovradimensionata rispetto ai costi: l’ultimo anno di attività
sarebbe stato prodotto solo il 6% dell’intero potenziale.
Quindi in tutto ciò si paleserebbero le ragioni del Commissariamento della Cantina:
tecnicamente il patrimonio netto era inferiore alle passività, ai debiti.
E la politica economica?
Non sarebbe stata adeguata ai tempi, e nemmeno competitiva, perché i vitigni
(non autoctoni) avrebbero prodotto una DOC che nulla aveva a che fare col
territorio, come potrebbe esserlo un Aglianicone o altri prodotti di pregio.
Il non essere riusciti a entrare in un segmento di mercato del genere avrebbe
giocato il suo ruolo essenziale.
E quindi, come già ribadito, la struttura si sarebbe ritrovata a essere sovradimensionata
rispetto al potenziale che poteva esprimere e i costi hanno di fatto mangiato i ricavi.
E la disoccupazione che è derivata da questa situazione? Buona parte del tessuto sociale
legato all’imprenditoria agricola sarebbe emigrato altrove e qui si reinserisce il ruolo
giovanile e ricambio generazionale, ricambio che , vista la situazione, nemmeno
sarebbe tanto stimolato e incentivato. E invece, cosa ne è stato di chi aveva creduto nella Cantina ? Di chi aveva investito
speranze, tempo, coltivazioni in questo progetto?
I soci , di fronte a una situazione giunta ormai al collasso, avrebbero reagito con
mortificazione e scoraggiamento com’è naturale che sia. La situazione non sarebbe giunta al tracollo tutta d’un colpo o in modo netto, ma in
modo graduale, un po’ alla volta, in un processo trascinatosi per vent’anni.
Di fronte alla presa di coscienza della gravità della situazione, sarebbe venuto meno
anche l’interessamento e la forza di andare avanti e di esprimere idee, soluzioni e
innovazioni.
Per tali ragioni, all’Ultima Assemblea Generale, nonostante i soci fossero stati 940, se ne sarebbero presentati
solo 48: questo basti a esprimere lo scoramento collettivo che serpeggiava nella
comunità e che si è diffusa sempre più a macchia d’olio.
Questa sarebbe la parabola della vicenda della Cantina Sociale. Ma c’è un altro,
inaspettato risvolto che sembra essere nato dalle ceneri di questo fuoco di paglia:
paradossalmente, proprio dopo la vicenda della Cantina, stanno nascendo una serie
di piccole aziende con elevato potenziale, tra queste è da citare l'”A.T.A.”, legata
all’Aglianicone, che potrebbero essere inserite in un segmento di prodotto di nicchia.
Nonostante le piccole dimensioni delle aziende, la qualità del prodotto potrebbe
essere, ora come non mai, la carta vincente per sopperire a tutto questo e per contribuire,
lentamente, al rilancio.