La scorsa settimana ha fatto scalpore la dichiarazione a Salerno dell’onorevole Rosy Bindi, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, circa la presenza nel sud della provincia d’infiltrazioni camorristiche in particolare nelle attività imprenditoriali e commerciali, organizzazioni criminali del napoletano e casertano, ma soprattutto calabresi. Per la verità già in un numero di “Unico” dello scorso anno era stato denunciato in modo circostanziato l’attivismo criminale nella Piana del Sele col coinvolgimento di operatori impegnati ad aggiudicarsi appalti per lavori pubblici, oltre a gestire la rete degli stupefacenti e altre attività illecite secondo lo schema tipico in atto nel Napoletano. A Capaccio e nelle zone limitrofe è stata accertata l’operatività di un’associazione dedita all’usura ed alle estorsioni e un’altra al traffico di droga, situazione riscontrata anche nel territorio di Agropoli. Ramificata è la strategia del riciclaggio e dell’interposizione fraudolenta per reimpiegare proventi di origine delittuosa con l’acquisizione diretta o il controllo di esercizi commerciali e imprese inserite nel circuito turistico-alberghiero. Il fenomeno tende ad aggravarsi, a detta della Bindi, perché « tutto ciò che è bello diventa appetibile». Sembra che esista una spartizione degli affari tra i gruppi malavitosi su tutto il Cilento. In effetti, ad operare sono cellule non stanziali, che modificano il modus operandi infiltrandosi nel tessuto sociale ed imprenditoriale di un territorio “cuscinetto” fra ‘ndrangheta e camorra. Il fiorente business del narcotraffico e delle estorsioni è stato già appurato a Castellabate col Castelsandra, hotel confiscato nel 1992. Pare che il fenomeno si sia aggravato se, nella relazione annuale del 2015, la Direzione Nazionale Antimafia asserisce: la “colonizzazione è aspetto fondante per capire come la criminalità organizzata si muove in Cilento o in territori simili a bassa intensità di violenza mafiosa”, con ripercussioni non solo di dominio o soffocamento delle attività produttive.
Rispetto a queste sconfortanti e sconcertanti notizie, si è appreso che il 15 giugno in Vaticano è stato dibattuto l’angosciante problema della corruzione e del suo intreccio col crimine organizzato. Si è precisato che non si tratta solo di una questione di legalità, ma di civiltà perché comportamento che calpesta la dignità della persona; perciò è necessario sensibilizzare l’opinione pubblica, individuare politiche, approvare leggi veramente efficaci per prevenire un tarlo che mina i processi di sviluppo e le relazioni tra istituzioni e persone nel provvedere al bene comune.
L’iniziativa ha preso le mosse dal grido di papa Francesco: “I mafiosi sono scomunicati”, scandito in Calabria nel 2014. A costoro ora vengono affiancati anche i corrotti perché “La corruzione spuzza, non è cristiano chi si lascia corrompere”. Lo aveva detto il pontefice a Scampia; tuttavia nel mondo della politica e della finanza troppi, pur professandosi uomini di fede, agiscono in modo per nulla coerente, senza manifestare pentimenti di sorta. Si ritiene che la presa di posizione formale possa avere un certo peso per destabilizzare ‘ndrangheta e altre organizzazioni, le quali praticano rituali pseudo-religiosi. Ma l’intervento può risultare veramente efficace se la Chiesa locale è pronta a fare la sua parte illuminando le coscienze, invitando alla conversione, esigendo la riparazione da parte di chi ha usato danaro della comunità per fini privati. Occorre un rigoroso atteggiamento di condanna, senza se e senza ma, non solo per gruppi criminali che approfittano della situazione di stallo nel territorio per continuare a perpetrare soprusi, violenze ed intimidazioni.
A questo proposito, una chiara presa di posizione durante il convegno diocesano della prossima settimana può risultare non solo utile, ma necessaria. Si dibatte il tema dei giovani, opportunità per consolidare la loro speranza in un futuro migliore esaltando la bontà della scelta di comportamenti sempre onesti, generosi, attenti al bene comune. Educare significa far emergere motivazioni più profonde nel cuore del ragazzo/a aiutando a scoprire i propri talenti; quindi non una trasmissione di nozioni ma testimonianza concreta per una credibile esperienza per far crescere la persona non in un contesto astratto. Comprendere la bellezza di cooperare per un obiettivo comune presuppone la disponibilità all’ascolto; ma sovente le giovani generazioni manifestano disinteresse per un discernimento che ponga a centro i valori per superare la sterile prospettiva offerta dalla società liquida. Pur preoccupati del loro futuro, trovano sicurezza soprattutto nella famiglia di origine, la quale però non sempre riesce a fornire un adeguato sostegno per superare problematiche connesse alla droga, all’alcol, alla ludopatia, allo scoraggiamento per la persistente frustrazione generata da una condizione di percepiti insuccessi.
Oggi più che mai ai giovani occorre dedicare più tempo creando occasioni autentiche di dialogo nella consapevolezza che – come ha sostenuto Gandhi – “Il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere il mondo potrà scoprire la pace”. Ciò è possibile se si accetta di avviarsi verso il futuro a piccoli passi perché, per citare ancora Gandhi, il giovane nella battaglia della vita può “vincere l’odio con l’amore, la menzogna con la verità, la violenza con l’abnegazione”, elemento fondamentale nel processo educativo, reso ancora più efficace se gli adulti sono pronti a fare con coerenza la loro parte. Perciò, come auspicio per un nuovo inizio, si può riformulare l’invito alla popolazione tutta e agli amministratori attivi nel territorio perché, facendo proprio il dettato costituzionale per un rinnovato impegno a favore del progresso a misura d’uomo, s’impegnino a praticare l’ecologia integrale così come invita a fare papa Francesco nella “Laudato sì”.