Come avevo promesso, oggi riprendo una riflessione che scrissi nell’ottobre del 2012, quando il sindaco Italo Voza lanciò l’idea di una nuova città per Capaccio Scalo. Anche questa, fatta la dovuta tara imposta dal tempo, va nella stessa direzione. Mi riprometto, però, di fare una ulteriore riflessione fra qualche giorno.
Ecco cosa scrivevo in un mio articolo già ripreso circa due anni fa.
Nel mio ultimo articolo ho lanciato l’idea/provocazione di RIFONDARE POSEIDONIA accorpando Agropoli e Paestum. Resto sempre più convinto della mia idea, anche se sono consapevole delle enormi difficoltà di realizzarla nel breve/medio termine e di doverla necessariamente collocarla nel futuro, se non addirittura nel futuribile. Con spirito pragmatico torno con i piedi ben saldi nel presente e mi riaggancio al dibattito piuttosto vivace sulla “Nuova Paestum”.
Il sindaco Italo Voza ha lanciato, di recente, una provocazione, che ha suscitato una serie di reazioni di segno opposto, ma, comunque, ha avuto l’effetto, certamente positivo, di focalizzare un problema reale, sul quale è opportuno, doveroso ed utile riflettere. Questa, in sintesi, la proposta: Abolire il vecchio toponimo di Capaccio Scalo, sostituendolo con Nuova Paestum o Paestum Nuova.
“Nomina sunt conseguentia rerum” – sostenevano con saggezza gli antichi. E “Capaccio Scalo” nacque quando la Stazione Ferroviaria era l’unico punto di riferimento per gli abitanti delle zone interne per le partenze: voli di desiderio e di speranza per l’espatrio forzato, ottemperare agli obblighi della cartolina di precetto, gli studi nelle città lontane, il ricovero negli ospedali del capoluogo di provincia, ecc. e relativi conseguenti ritorni. Partenze e Arrivi. Per il resto la Piana era zona malarica con salariati migranti che raggiungevano i campi di lavoro a perdita d’occhio a raggiera dalla masseria del “signore”, scendendo all’alba dai paesi delle colline. L’assalto ai latifondi e la conseguente riforma agraria rivoluzionò storia, geografia ed economia e la pianura si popolò con borghi rurali disseminati dal Sele al Solofrone e dal mare alle colline con una logica di funzione allo sviluppo agricolo. Anche Capaccio Scalo si sviluppò con questa logica, a cui hanno fatto seguito Il Rettifilo da un lato e Laura dall’altro. Il commercio, prima, ed il turismo, poi, hanno prodotto una seconda rivoluzione geoeconomica, che è ancora in atto. E Capaccio Scalo è cresciuta a dismisura, sull’onda, spesso, dello spontaneismo dettato da necessità e senza un preciso disegno urbanistico, per assenza totale, o quasi, della politica. Lo sviluppo, anche e, forse, soprattutto, quello urbanistico, lo ha imposto il mercato, che lo ha governato, o sgovernato, nella logica del profitto dei singoli e non nel superiore interesse della collettività. Sono nati centri commerciali, studi professionali, banche, bar, ristoranti e tutta la vasta gamma di negozi funzionali ai bisogni della quotidianità di una umanità disaggregata che è cresciuta di anno in anno e, spesso, di mese in mese. I palazzinari hanno fatto gli affari, i cittadini hanno avuto una casa, il territorio è stato devastato da una edilizia da rapina. I ragazzi hanno avuto una scuola dell’obbligo. I più grandi hanno avuto, tardissimo, un Istituto Superiore. Né gli uni, né gli altri hanno avuto luoghi funzionali alla socializzazione. Il tutto perché è nato ed è cresciuto un luogo da abitare non da vivere. Il tutto perché è mancata la Politica. Ora il sindaco Voza lancia un segnale, prendendo a pretesto la toponomastica; e va salutato positivamente perché è la spia di una esigenza reale, ineludibile e non più rinviabile: ridisegnare il territorio non tanto e non solo dal punto di vista meramente fisico urbanistico, anche se anch’esso importante, ma dal punto di vista delle funzioni a cui ogni centro abitato che si rispetti deve fare riferimento. Urge RAZIONALIZZARE L’ESISTENTE e fin da subito. Il sindaco ne ha lanciato il segnale.
E, allora, non più Capaccio Scalo, e sono d’accordo; non Paestum Nuova o Nuova Paestum, che non avrebbe motivazioni né storiche, né, geografiche, né politiche, nel senso ampio del termine, ma semplicemente PAESTUM, riaffermando con un occhio alla storia, alla geografia, all’economia, la centralità di un nome che, se mai, deve corrispondere ad una vasta aggregazione urbana con la dimensione, il respiro e la dignità di una città. Se mai, c’è urgenza e necessità di riammagliare alcune contrade parcellizzate intorno ad un nucleo già esistente. E Capaccio Scalo può assolvere a questo ruolo, come contrada più popolosa, candidandosi a diventare il centro propulsore della Città moderna. Ma la città ha bisogno di un’anima, che ne esalti l’identità, la visibilità e l’orgoglio di appartenenza. E da sempre in una qualsiasi città degna di questo nome c’è una Piazza con il Palazzo Comunale, la Chiesa Madre e tutta una serie di edifici funzionali alla socializzazione, nelle sue varie forme ed articolazioni ed in cui i cittadini si riconoscono e si identificano. Piazza Santini non risponde a questa logica, perché è decentrata, non è vissuta, non dispone di attività commerciali e della ristorazione, non ha centri culturali e di aggregazione, la stessa Casa Comunale non è sentita e rispettata come tale, né tanto meno amata dai cittadini, ma avvertita, per lo più, come luogo freddo di uffici anonimi in cui sbrigare frettolosamente pratiche e da cui scappare il prima possibile. Non ha un’anima, appunto. Non è il centro, il cuore pulsante di una città. È fredda anche la Chiesa Parrocchiale che ha di antico soltanto il nome del protettore, San Vito, non certo la struttura urbanistica, anch’essa fredda e senza il pedigree del vissuto storico né il fascino delle memorie delle grandi tradizioni. Casa Comunale, Chiesa Parrocchiale e Piazza potrebbero avere una loro centralità se diventassero cuore pulsante di una nuova città, da ridisegnare, delineandone i confini; lato monte, al Petrale e scendendo fino al mare della Laura. Naturalmente in questa ottica dovrebbe avere una sua centralità anche la Stazione Ferroviaria, che una politica miope della Società delle Ferrovie con il silenzio assenso, ancor più miope, dell’Amministrazione Locale, cancellò nelle sue funzioni dichiarandola, con un brutto termine “impresenziata”. Forse in proposito è da riaprire un contenzioso in una visione nuova e più funzionale dello sviluppo dell’intero territorio, che abbia i confini nel Petrale e scenda giù fino al mare, costeggiando il Cerro da un lato e via Fornillo, dall’altro, tanto per cominciare. L’argomento è di straordinario interesse ed impone una riflessione ampia, articolata ed approfondita, che mi riprometto di fare a breve.
E va in questa direzione la riproposizione di questo articolo che testimonia l’interesse del problema per la costruzione di una nuova città nella pianura pestana a recupero di passato e a costruzione di futuro. È esigenza questa che fu sentita e posta già nel passato dal sindaco Enzo Sica, prima, come ho scritto nel mio precedente articolo e Italo Voza, come sottolineo in questo di oggi. E ancora molto molto tempo prima chi scrive lanciò l’idea della CITTÀ DEL SELE, che suscitò un interessante dibattito tra gli amministratori del nostro territorio, come ricorderà Rosario Catarozzi, che intervenne con un suo puntuale e motivato contributo. Ed il dibattito nacque da una proposta interessante e lungimirante dell’onorevole Carmelo Conte, allora ministro, sul Porto Canale a Foce Sele. L’uno e l’altro progetto è stato ripreso di recente dal giovane deputato, Federico Conte, che lo ha esposto sul quotidiano La Città, rivelando intelligenza, creatività ed determinata volitività, che sono qualità di famiglia. Se l’Amministrazione Palumbo intende andare in questa direzione e riprendere in toto o in parte quei progetti ha ampia e seria documentazione a cui attingere. E per memoria mia e dei lettori ed, eventualmente degli amministratori di Capaccio Paestum in carica, mi sembra opportuno riportare qui di seguito la parte conclusiva del mio precedente articolo di alcuni giorni fa, in cui proponevo la creazione di una nuova città accorpando Capaccio Paestum ed Agropoli, a proposito dell’Arena del mare a Linora.
A conclusione scrivevo:
Però c’è una frattura tra Paestum ed Agropoli. Il percorso va riportato ad unità, recuperando ed esaltando quanto vi è di buono e valido nel territorio, ipotizzando ed attrezzando un unico grande POLO TURISTICO, CULTURALE che punti a creare:
– un auditorium, attrezzato di opportuni servizi di accoglienza;
– un’area sportiva con impianti di valenza e dimensioni olimpioniche;
– un consorzio per un progetto condiviso che lanci sui mercati una offerta di qualità con iniziative di cultura e di spettacolo di respiro internazionale;
– un centro espositivo per il mercato dei prodotti enogastronomici ed artigianali del territorio, ecc. ecc.
– Il tutto in una prospettiva di creare un’unica città, che recuperi ed esalti la memoria storica della grande POSEIDONIA.
Ho dato a questa idea/progetto motivazioni più che valide, secondo me, in una mia ampia riflessione sul tema in diversi miei articoli. Ma non sono nato ieri e non mi nascondo le difficoltà enormi per realizzare questa progettualità di futuro in palese conflitto con l’individualismo ed il municipalismo asfittico del passato che perdura nel presente. Ma non c’è dubbio che questa è già oggi, e lo sarà sempre più domani, la direzione giusta di marcia.
E, allora, in attesa della futura NUOVA Poseidonia, sfoziamoci di creare, senza sciocche, dannose ed improduttive rivalità, almeno un originale CAPTUR (Consorzio Turistico Agropoli Paestum), che potrebbe avere, a mio parere, la forza dirompente di cambiare faccia ad un intero territorio sul piano culturale e sociale, ma soprattutto economico, immettendo nel circuito delle attività produttive le zone a destra e a sinistra del Solofrone, oggi purtroppo periferiche e dimenticate dalle due Amministrazioni Comunali, però in grado di coinvolgere, in un progetto d’insieme, in feconda sinergia, anche Ogliastro e frazioni, Cicerale_Monte e Giungiano, nella consapevolezza che insieme si cresce, da soli si deperisce e muore. Se l’Arena del Mare ipotizzata a Linora va in questa direzione va salutata positivamente, a condizione, però, che vada posto con forza e con ampie e documentate previsioni di futuro un Piano Urbanistico Comprensoriale che ridisegni un piano organico di investimenti sinergici e che ipotizzi una nuova città e che accorpi Capaccio Paestum ed Agropoli con i relativi paesi contigui che sono nati e si sono sviluppati sulle colline circostanti e che insieme costituirebbero una città di media grandezza di circa 80/90.000 abitanti, una città stellare che vada da Altavilla a Torchiara e Rutino, passando per Albanella, Roccadaspide, Trentinara, Giungano e che cambi volto e prospettive di Sviluppo ad un vasto territorio a Sud di Salerno, al di là del Sele. Se è questa la prospettiva, allora diciamolo chiaramente e diamoci sotto, senza sciocche dannose ed improduttive rivalità, per creare, tanto per cominciare, un originale CAPTUR (Consorzio Turistico Agropoli Paestum), che avrebbe, a mio parere, la forza dirompente di cambiare faccia ad un intero territorio, immettendo nel circuito delle attività produttive le zone a destra e a sinistra del Solofrone ipotizzando una nuova Città il cui nome è già nella grande storia e non potrebbe che (ri)chiamarsi POSEIDONIA.
Anticipo che sul tema tornerò ancora recuperando documentazione interessante e che fu tema di incontri e dibattiti di molti armi fa Enzo Sica e Franco Alfieri, allora rispettivamente sindaci di Capaccio Paestum ed Agropoli con la compartecipazione attiva di altri sindaci del territorio. All’epoca i Giornali diedero molto spazio al tema e sia Sica che Alfieri sponsorizzarono due pubblicazioni in merito: 1) PAESTUM DAL PASSATO AL FUTURO; 2) AGROPOLI LA “MONTMARTE DEL CILENTO”. Comincerò proprio da questi precedenti sottolineando con forza questa premessa: In Italia sono stati valorizzati al massimo i siti archeologici per una serie di iniziative prestigiose puntando su binomio cultura e spettacolo. Ne cito i più significativi: Ostia Antica, Pompei, Taormina, Siracusa, l’Arena di Verona, ecc, ecc. Paestum, invece, abbandona l’Area Archeologia, con lo scenario magico dei templi dorici, che poteva e doveva specializzarsi sempre di più e al meglio sul teatro antico e crea una Arena del Mare a Linora, periferica rispetto all’area archeologica ed alle attività commerciali, penalizzando, di fatto, commercio artigianato e ritrovi ludici e locali accoglienti di enogastronomia. Tutto si può fare, innovando e migliorando l’esistente, però con progetti più ambiziosi ed aperti al futuro, come quello che ho tentato di ipotizzare prima, a grandi linee e sul quale tornerò ancora a più riprese con la legittima ambizione di contribuire a dare un contributo per uno sviluppo a proiezione di futuro.
P.S.: Chiedo scusa della lunghezza dell’articolo, ma l’importanza del tema mi ha preso la mano. E temo che sarò costretto a fare ulteriori riflessioni sul tema per sottolineare la CENTRALITÀ DI PAESTUM della nuova eventuale città, soprattutto se, come mi auguro fortemente, il tema susciterà un interessante ed appassionante dibattito, liberto.