Il discorso su Dio può stimolare una continua preghiera o trasformarsi in un atto di orgoglio, generare rivalità inconciliabili come quella che suscita la domanda degli islamici, che credono nel vero Dio, ma poi chiedono ai cristiani: se è unico come può avere un figlio? Si genera così una incompatibilità per obbedire ad una fredda e distratta logica umana che porta perfino alla guerra, una evidente incongruenza se i cristiani sono pronti ad asserire: Dio è amore, quindi come potrebbe essere solo?
Con la nostra piatta razionalità oggi siamo portati a considerare l’origine di tutto attribuendolo ad un potere oscuro che opera guidato da una fredda ragione, un orologiaio o architetto dell’universo. In realtà chi condivide questa prospettiva non fa esperienza di Dio, al punto da credere che sia una creazione delle nostre paure.
Certamente più efficace è la considerazione di quella bambina che, rientrando eccitata dalla lezione di catechismo, manifesta alla mamma il desiderio di dipingere Dio e, perciò, le chiede: “Com’è?». Esitante, la mamma si ferma a pensare, poi le dice: «Dio è ciò che c’è di più bello, grande e luminoso». La bambina, divenuta pensierosa, risponde: « Mamma, non voglio più dipingere Dio. Ho paura di sciuparlo».
Sovente capita anche a noi di sciupare l’idea di Dio perché poco disposti a scendere in profondità per lasciarci avvolgere dalla sua luce e contemplare la sua bellezza. Possiamo farcene una idea considerando la relazione di amore tra uomo e donna. Essa è vera e sublime quando si abbandonano l’uno nell’altra e realizzano un rapporto unico di comunione. Così veramente si conoscono.
Il mistero della Trinità é una profonda e meravigliosa relazione di amore. A farcelo conoscere è Gesù: «Dio amore» è la rivelazione centrale del Nuovo Testamento. Gesù presenta in questo modo la vita intima di Dio: Padre, Verbo e Spirito. Il suo amore è comunicazione dell’amore che costituisce il suo essere. È la Buona Novella: Dio ama l’umanità e il creato perché si ama. E’ comunione perfetta di persone, la sua essenza. L’amore divino come infinita donazione è il Padre, come partecipe accoglienza è il Figlio, come perfetta relazione tra chi dona e chi accoglie è Spirito Santo.
La rivelazione di questo Amore autorizza a pregare dicendo «Abba, Padre!» La nostra disponibilità ad amarci vicendevolmente, operando come il buon samaritano, fa superare ogni discordia perché riflette in noi l’amore che Dio ha per i nostri fratelli.
La Chiesa celebra questa festa non come invito a speculare sul mistero, ma per fare esperienza della dolcezza dell’amore di Dio e della sua plurale comunione nella propria vita. Non bisogna avere paura di Dio. Egli non vive nella solitudine della sua perfezione, è continuo flusso di amore, casa aperta e invitante. Ecco la Trinità! Dio è prima Padre che s’impone per la sua amorevole bontà. L’ha fatta conoscere Gesù, il Figlio che rivela Dio nel mondo per mezzo dello Spirito. Credere significa entrare nella sua intimità. Ecco perché: «solo chi ama conosce Dio» e raggiunge la piena umanità nella comunione, dono di amore per tutti, felici di sentirsi abbracciati dentro questo vortice di amore.
La sua pedagogia s’impone perché promette di stare sempre con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo, come manifestazione ultima e sublime del suo amore. Inoltre, non esita a dare fiducia ed affidare il suo vangelo a dei discepoli/e dubbiosi. Li manda a battezzare, cioè ad immergere ogni essere umano nell’oceano dell’amore divino. Egli comunica questa verità agli apostoli recatisi in Galilea per l’ultimo appuntamento con lui. Sono ancora incerti e pieni d’interrogativi, si sentono parte di una comunità ferita, provano rimorso per aver conosciuto il tradimento. La loro è una fede ancora vulnerabile ma, pur se vittime della delusione , non chiudono con la grande avventura alla quale li ha chiamati Gesù. Accettano l’invito del pellegrinaggio al monte. A conquistarli definitivamente è la tenerezza del Maestro e comprendono che lui è Dio in uscita, vero pellegrino dell’amore.
Questa loro ascesa nel luogo dove è possibile incontrare Dio conferisce un particolare significato al pellegrinaggio. Domenica scorsa tanti abitanti della nostra regione ne sono stati protagonisti. Infatti, secondo un’antica e consolidata tradizione si è aperto il santuario del Gelbison e la Madonna del monte ha dato il suo benvenuto a chi si è recato nel suo santuario. Si è ripetuto il rito che ha spinto tanti ad attraversare campi (da qui la parola “per-ager” – pellegrinaggio ), superare impervie frontiere per andare verso una specifica meta. Durante il tragitto hanno fatto anche memoria degli eventi che hanno segnato la loro vita.
Il tempo dedicato al pellegrinaggio è ritagliano fuori della routine quotidiana per lo specifico obiettivo di una preghiera meditata e gustare la presenza di Dio, meta promessa di una particolare devozione. Con l’intenzione di sollecitare la propria conversione ci si è diretti con atteggiamento penitenziale verso il santuario, spazio sacro dove è possibile percepire meglio e con maggiore intensità la presenza di Dio.
Il successo del pellegrinaggio cristiano è garantito dalla disponibilità a fare il memoriale del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione in particolare nei santuari mariani perché l’umile Vergine di Nazaret è il modello da imitare. La si invoca provvida madre, pronta ad intervenire per tutelare la salute del corpo e dello spirito. Ancora oggi, pur se tentati dalla secolarizzazione, questi luoghi dello spirito continuano a parlare a chi paventa l’asfissia di una società chiusa e disperata, come si è sperimentato in tanti mesi di pandemia. Perciò, mettersi in cammino verso questa destinazione significa ritrovare il senso profondo della vita e arricchirla di sereno futuro.
Il breve tempo trascorso nel santuario diventa una pausa di ristoro, momento di gioia per la sicurezza ritrovata di un Dio che ci ama. Il viaggio, ricerca interiore, sollecita il cambiamento per star bene con sé stessi e con gli altri. Richiede uno sforzo fisico, esperienza che fa cresce perché non si cede alla pigrizia e si superare i propri limiti resistendo nei momenti difficili.
E’ un cammino fatto insieme, quindi aiuta a sentirsi comunità perché abbatte barriere sociali e formali per respirare momenti di fratellanza, che aiutano a superare le incertezze del futuro e la paura della morte. Osservare questi pellegrini consente anche d’individuare i pensieri ricorrenti su ciò che si sente come incombente circa la salute, la stabilità economica, la vita di una comunità. Dal punto di vista psicologico in tanti le motivazioni che spingono a compiere questi viaggi sono a volte anche inconsce, ragioni personali radicate comunque nell’essenza stessa dell’uomo perché il pellegrino cristiano hai chiari due obiettivi: crescere nel tuo rapporto con Dio e conoscersi meglio, sperimentare un progresso nel cammino verso la patria celeste. Da qui deriva il bisogno di conversione espressa tramite specifiche pratiche devozionali, spazi di libertà che ricordano quel pellegrino russo errante di luogo in luogo, che possedeva solo una bisaccia con del pane e la Bibbia, ma si sentiva il più ricco del mondo. Questa povertà materiale contribuisce a sollecitare la ricchezza dello spirito se il pellegrinaggio interiore avvicina sempre più a Dio, considerato non un oscuro dogma, ma la relazione di amore che domenica abbiamo contemplato nel mistero della Trinità.
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