La politica delle nomine seguita dalla curia romana prestava accresciuta attenzione alle tradizioni ecclesiastiche regionali, di cui i presuli erano emanazione e, quanto, a condizione sociale, iniziò la progressiva prevalenza di estrazione borghese dei prescelti. Queste motivazioni si riscontrarono nel successore di mons. Maglione per la diocesi di Capaccio-Vallo, dove lo sviluppo delle attività sociali e l’azione politica dei cattolici erano pressoché inesistenti. Anche dopo la Rerum Novarum erano pochi e male organizzati i comitati parrocchiali; aspetti precipui della tradizionale mentalità legittimista, il regionalismo, clientelismo e trasformismo ostacolavano efficaci programmi. I limiti erano aggravati dall’assenza dell’associazionismo mutualistico cattolico. In una zona dove i ceti meno privilegiati avevano esperienza solo di congreghe di carità, monti frumentari o d’istituzioni con finalità solo cultuali e caritative, che consentivano alla borghesia moderata strumentalizzanti obiettivi filantropico-umanitari.
Il nuovo indirizzo pastorale nella provincia ecclesiastica salernitana fu propagandato dal quindicinale “Il Buon Senso”, fondato nel 1897. Il periodico visse il suo momento di maggiore prestigio nel 1901, durante il congresso cattolico regionale, che concluse un periodo d’intenso impegno per vescovi e sacerdoti sensibili ad una moderna pastorale, sollecitata da Leone XIII, preoccupato per la carente sensibilità verso le problematiche sociali nelle diocesi della regione. Si condivise la necessità di riscattarsi “degli anni perduti e delle negligenze” per “indolenza e pigrizia” e si tracciò la mappa dei bisogni, delle carenze, degli impegni per un’azione sociale ormai improcrastinabile a causa della progressiva scristianizzazione e della propaganda socialista e massone. Furono anche i primi passi dell’attivismo socio-religioso del giovane presule di Vallo.
Paolo Jacuzio, nominato su proposta di mons. Laspro vescovo, era nato a Forino nel 1862 ed aveva frequentato il seminario di Nola e di Salerno e conclusa la formazione a Napoli. Ordinato sacerdote il 13 settembre 1885 da mons. Valerio Laspro, nel 1887 conseguì la laurea in teologia e nel 1890 in diritto canonico e civile. Nello stesso anno sostenne il concorso per l’arcipretura di Forino e per dieci anni resse quella parrocchia. Leone XIII lo preconizzò vescovo di Capaccio-Vallo nel concistoro del 17 dicembre 1900; consacrato il 21, egli fece ingresso in diocesi il 21 luglio 1901.
Mons. Jacuzio iniziò subito la visita pastorale poiché foranie, come quella di Pisciotta, da quarantaquattro anni non vedevano il vescovo. Tra i protagonisti del congresso salernitano, egli riorganizzò il seminario e promosse l’azione cattolica, poco conosciuta e apprezzata nella zona, dove la popolazione era abituata a far coincidere i propri doveri cristiani con la pratica cultuale e ritenere il sacerdote un mero dispensatore di sacramenti. Strumento originale ed efficace del suo ministero divenne “L’Alento”, impostosi all’attenzione del pubblico per la novità delle idee e l’impegno socio-economico; il periodico si rivolgeva anche alle classi più umili, soprattutto ai numerosi contadini, dedicando una sezione alla modernizzazione delle colture e delle tecniche agrarie. La direzione fu affidata al clero, quindi dipendeva del vescovo, circostanza che, se accentuò l’indole clericale, consentì ai sacerdoti più colti e sensibili di costituire un attivo nucleo di collaborati dell’ordinario nella promozione pastorale e socio-politica dei cattolici cilentani. Erano argomenti dibattuti con crescente interesse in tutta la provincia e trovarono nel vescovo di Vallo, nominato amministratore apostolico di Teggiano nel 1905, un deciso assertore. Mons. Jacuzio divenne il rappresentante in provincia delle posizioni più avanzate e intransigenti del cattolicesimo. Egli considerava l’impegno politico una scelta di campo per distruggere il monopolio dei capi-elettori e consentire un’effettiva e convinta partecipazione del corpo elettorale alla vita politica. Il presule sollecitò anche la costituzione di banche cattoliche avvalendosi della collaborazione di don Arturo Capone, direttore di “Il Buon Senso” e suo amico. Durante gli anni di permanenza in diocesi mons. Jacuzio conseguì un certo successo, fondando casse rurali in una zona dove l’agricoltura rimaneva l’attività prevalente, ma con tecniche, distribuzione del possesso, rapporti sociali ancora regolati da tradizionali criteri, ostili alla diffusione del credito agrario. Nel 1913 fu istituita la cassa rurale di prestiti s. Pantaleone, alla quale in pochi mesi s’affiancarono quelle di Ceraso e di Moio, tutte iscritte alla federazione regionale delle casse rurali. Nella diocesi tale movimento ebbe una discreta diffusione e durante la guerra portò alla costituzione di cooperative di consumo; tuttavia, rimase legato all’azione e alle direttive del vescovo, senza riuscire a coinvolgere direttamente le forze locali. Col trasferimento del presule a Sorrento, gli istituti fondati per suo interessamento cessarono l’attività o furono condannati a grama esistenza; in realtà, mancavano i prerequisiti socio-economici perché potessero radicarsi e resistere alle avversità del momento e della congiuntura generale.
L’intransigente giovane presule si scontrò con l’onorevole Talamo, deputato massone del collegio, infondendo coraggio tra i clerico-moderati, ostili alle propensioni anti-religiose della democrazia risorgimentale. L’ascendenza di mons. Jacuzio era molto estesa; come vescovo poteva influire su ben quattro collegi elettorali: Sala, Capaccio e, soprattutto, Torchiara e Vallo, questi ultimi costituiti quasi interamente da paesi le cui parrocchie erano soggette alla sua giurisdizione. Portavoce divenne “L’Alento”, che raccoglieva gli atti della Curia e aveva larga diffusione nel Cilento e nel Vallo di Diano. Il periodico si schierò contro la massoneria, rivendicando la liceità della partecipazione dei cattolici alla vita politica e denunciando i deputati massoni, che s’attendevano il sostegno elettorale della chiesa. L’azione d’orientamento socio-politico dovette risultare efficace. Chi si ritenne danneggiato dall’azione del vescovo non fu estraneo al tentativo nel 1907 di farlo trasferire; ma mons. Jacuzio, confortato anche dalle diecimila firme raccolte dai sacerdoti e inviate al papa, pregò Pio X di non ratificare la nomina ad arcivescovo d’Acerenza e Matera. (cont.)
L.R.