di Massimiliano De Paola “È da bambino che io e tutti voi non proviamo l’emozione di salire su un treno che parta dal Vallo di Diano. Figli di un dio minore.” Non sono parole mie, ma potrebbero anche esserlo per quello che esprimono. Le ho scovate da un post su facebook ed hanno suscitato in me più di una riflessione. Era il maggio del 1987, quando, partito da Atena Lucana, arrivò alla stazione ferroviaria di Polla, l’ultimo treno, un convoglio straordinario, un locomotore diesel o se preferite una locomotiva. Si, una locomotiva rimasta parcheggiata da allora sul binario dello scalo merci, abbandonata a sè stessa per anni, e solo di recente riportata al suo splendore. Da quel giorno ad oggi nessun altro treno ha più viaggiato su quei binari e su quelli dell’intera tratta ferrata che collegava Sicignano degli Alburni con Lagonegro, attraversando il Vallo di Diano. La linea non fù mai ufficialmente soppressa, ma chiusa per consentire l’elettrificazione della linea Battipaglia-Potenza. Quest’ultima fù riaperta nel 1994. Sorte diversa toccò alla Sicignano-Lagonegro, di fatto chiusa dal 1987. Settantotto chilometri di binari abbandonati, chiusi al traffico e dimenticati. Di una ferrovia che attraversasse il Vallo di Diano per collegare la Campania, la Basilicata ed il Sud Italia, si iniziò a parlare dalla seconda metà dell’800, quando furono stilati i primi progetti. Il 30 dicembre del 1886 venne completato il primo tratto fra Sicignano degli Alburni e Sala Consilina e nel 1892 la linea venne inaugurata interamente. Inizialmente il numero di coppie giornaliere di treni fù di tre, oltre al servizio merci quotidiano. Nel 1905 i convogli passeggeri aumentarono a quattro coppie giornaliere. Nel 1936 entrarono in servizio le “littorine” che consentirono una notevole riduzione dei tempi di percorrenza e le corse viaggiatori giornaliere passarono a cinque e poi ancora a sei, fino a raggiungere le sette corse giornaliere a metà degli anni’70, compreso un servizio diretto fra Lagonegro e Salerno che non effettuava fermate fra Polla e Eboli. Nel 1986 partirono i lavori di elettrificazione della linea Battipaglia-Potenza, da cui si diramava la Sicignano-Lagonegro, che fino al settembre di quell’anno continuò a funzionare regolarmente, poi iniziarono ad entrare in funzione i primi servizi automobilistici sostitutivi. Nel marzo del 1987 la Sicignano-Lagonegro venne chiusa al traffico viaggiatori definitivamente. Da quel momento molti si sono battuti per il ripristino della tratta. Tra questi il comitato per la riattivazione della Sicignano-Lagonegro. Intanto, in attesa che le rotaie riprendano a marciare su quei binari, la Fondazione MIdA ha proposto un utilizzo turistico della strada ferrata, secondo il modello francese del velorail, adottando i binari della Sicignano-Lagonegro. In tal senso ha presentato una richiesta a Rete Ferroviaria Italiana che, dopo un sopralluogo tecnico, ha espresso un parere favorevole. Se andrà in porto il progetto, attraverso speciali carrelli ferroviari, si potranno percorrere bellissimi panorami di tratti di ferrovie dismesse, puntando sulla riscoperta dei luoghi e offrendo ai turisti un viaggio sentimentale lungo le vie abbandonate. Sono ormai nove anni che, per rivivere atmosfere, colori e paesaggi, che solo un viaggio in treno può regalare, si snodano, lungo tutto lo Stivale, regione per regione, diverse iniziative tra ferrovie dimenticate. L’hanno chiamata “Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate” ed è diventato un appuntamento fisso per programmare itinerari escursionistici in tutta Italia. E’ così che qui è nato il “trenotrekkingferroviario” sulla Sicignano-Lagonegro. In genere il programma prevede per gli escursionisti un percorso a piedi lungo un sentiero che li condurrà alla stazione più vicina, per poi proseguire con il trekking ferroviario fino ad arrivare alla stazione successiva. E’ previsto anche il trekking urbano per visitare i luoghi di maggior interesse man mano che si attraversano i paesi che percorrono la tratta ferrata Sicignano-Lagonegro. E’ un cane che si morde la coda Ma come mai non passa più il treno da queste parti? Il motivo principale è che manca l’utenza, dicono. I giovano non trovano lavoro e vanno via, e allora su quel treno chi ci deve andare? E’ tutta colpa del mancato sviluppo di queste “terre”! E’ un cane che si morde la coda. Se non c’è sviluppo il treno non passa, se il treno non passa non può esserci sviluppo. C’è da farsi venire il mal di testa. Ci avevano illuso… Negli anni ’50 eravamo una terra di agricoltori diventati operai. Nel giro di vent’anni gli operai sono diventati impiegati. Il problema sono i figli degli impiegati, a cui era stata promessa la luna di un lavoro creativo, senza cravatte, gerarchie, noia. E che, complice la crisi economica, si sono ritrovati, molto più prosaicamente, senza un lavoro. Molti di loro ancora non si sono rassegnati a cercare il loro personale eldorado nella giungla del terziario avanzato. Altri, invece, sono tornati al punto di partenza, ai campi e alla terra.
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