È il 12 aprile 2020: questa mattina la Valle del Calore sembrava un acquario.
Mi appoggio alla lastra di vetro che lo protegge e penso che non è mai troppo tardi per imparare a respirare sott’acqua.
Questa terra a sud di Salerno è un microcosmo selvaggio e silenzioso, finemente cesellato dalle mani che diedero vita ai templi di Paestum e che scrissero per la prima volta il termine Magna Graecia sulla terracotta.
Scosto le tende; di fronte a me c’è un immenso fondale, fatto di scheletri di montagne e case diroccate, costruite dai vecchi con la coppola in testa e le bestemmie nella voce: quando ero piccola mi divertivo a contare quante volte fosse necessario bestemmiare San Ciriaco per dare vita a un solo casolare.
Sposto un po’ lo sguardo; i paesi della valle fanno capolino lentamente sulla sabbia umida: Castel San Lorenzo, Castelcivita e Aquara sono conchiglie di un’epoca morta, fossili che nessun archeologo vuole studiare più.
Tutto è abbracciato da una barriera corallina immensa e fatta di ulivi secolari, che illumina l’acquario con riflessi di argento e smeraldo: ogni cosa ha la calma di un mare emerso e che ha fatto naufragio senza affondare.
I pesci oggi non ci sono; di solito, le acciughe anticipano il proprio arrivo proiettando l’ombra sul fondale sabbioso: provo a cogliere qualche guizzo o colpo di coda, ma non vedo nulla.
Sulla barriera corallina si stagliano delle stradine che si snodano, si contorcono, si attorcigliano e si raddrizzano come il corpo di quella vipera che mi morse la caviglia giù al fiume Calore, quando avevo nove anni.
Oggi è un giorno speciale, dicono.
È Pasqua e lo capisco dal profumo di pasta al forno che viene dalla cucina, ma anche dal fatto che sto mangiando tantissimo da giorni, ma forse è solo la quarantena. Già, solo la quarantena.
La giornata oggi passerà, tra le quattro mura di questa Resurrezione atipica, e domani ci sarà la Pasquetta: sarei scesa giù al fiume Calore, mi sarei goduta la mia Felitto, quella Felitto che ho sempre dato per scontata e da cui ho sempre voluto fuggire a gambe levate.
Mai come oggi, sento il desiderio fortissimo di indossare vestiti freschi e leggeri, incamminarmi per quel sentiero ombroso costellato di alberi e scendere giù al fiume, assieme alle trote e alle lontre. Non le ho mai viste le lontre, ma sono sicura che oggi si sentono un po’ libere, senza turisti, senza bambini urlanti e coi Super Santos tra le mani, in preda al delirio di Pasquetta.
Questa Pasqua atipica mi fa capire che ci penserò due volte prima di desiderare di scappare dalla mia Valle del Calore, dalla mia Felitto; ci penserò due volte prima di desiderare di essere altrove, ci penserò due volte quando maledirò ogni pietra del paese e ogni suo abitante.
Questa Pasqua chiusa tra quattro mura mi farà rendere conto di quanto ero fortunata, di quanto è bello il mio fiume e di quanto casa non sia un concetto applicabile solo all’edificio in cui abitiamo.
Me ne ricorderò, appena avremo acquistato tutti la libertà.
Monica Acito