Questo settimanale accende i riflettori dell’interesse sul Parco del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni per riscoprirne ed esaltarne tutta la sua bellezza, visitandolo a piedi attraverso i “sentieri/ cammini” già tracciati ed attrezzati e/o i nuovi che la “governance” dell’Area Protetta, i comuni più attivi e le associazioni ambientaliste tracceranno ed attrezzeranno in vista dell’Anno dei Cammini, di cui ha parlato di recente il Ministro Dario Franceschini.
La visita, rigorosamente a piedi, attiva tutti i sensi e dà voce al silenzio e libera l’anima più profonda della natura e ne scatena la ricchezza e la varietà delle emozioni che si fanno bellezza di sentimenti e canto di poesia in un rapporto di osmosi e di interscambio, identificazione tra uomo e natura. Va in questa direzione il mio articolo, a cui faranno seguito le riflessioni sui singoli sentieri degli altri bravi e motivati colleghi.
Per quel che mi riguarda mi impegno a ritornare sul tema, che mi intriga molto.
Infatti il Cilento interno è uno straordinario palcoscenico, dove da millenni uomo e natura, geografia e storia danno spettacolo prismatico di voci e suoni, colori e profumi nell’alternarsi cangiante delle stagioni. Basta accendere le luci della ribalta e la recita parte da sola: bella, ricca, varia, coinvolgente, entusiasmante.
E sì, perché i boschi dei monti con le sterminate faggete delle alture, i lecceti di media montagna, i castagneti delle falde a ridosso e a corona dei paesi accendono i riflettori del sole che filtra a lamine d’oro tra il fitto fogliame e rifrange luce su frutti e fiori del sottobosco e, se sbrigliati dalla brezza o squassati dalle raffiche impetuose di venti di tempesta, a seconda delle stagioni, fremono di vita e danno voce al fluire dei secoli. E narrano storie di legnaioli e carbonai alle prese con il pane stento in tutte le stagioni, di briganti al riparo dei covi a continua minaccia di giustizia sommaria, protettivi e generosi con i deboli, spietati con i potenti e gli arroganti, di pastori a guardia di armenti alla pastura brada di giorno e all’addiaccio gelido a custodia di stazzi di notte con la sola compagnia dell’alito caldo del cane amico e con la incerta coperta del tabarro di panno ruvido, di migrazioni bibliche lungo i tratturi della transumanza verso i pascoli della pianura ad animare poveri commerci di cagliati, lana di fresca tosatura e capretti ed agnelli belanti al sacrificio annunziato, ad illudersi al fiorire di nuovi amori; di artigiani alle prese con il miracolo di trasformare tronchi in botti e tini, rami in sporte, cesti e panieri e, all’occorrenza, in cucchiai da cogliere tome e ricotte fumanti di siero; di recenti escursionisti appassionati di trekking alla scoperta di paesaggi da brividi di piacere su cocuzzoli a volo d’abisso, a fremere di emozioni profonde alla visione di pianori di lavanda in fiore o di tappeti rosa/viola di ciclamini a festonare fossati umidicci o al riso odoroso delle fragoline a pigmentare di sangue le verdi barriere delle felci o alla mite vanità dei funghi che s’incappellano alle radici della macchia o delle castagne pigmentate, pulcini lustri a fuga dalla cova del riccio a spine d’oro un po’ brunito.
E sono concerti i canti della fauna che piroetta a slarghi azzurri d’infinito ed ha la maestà dell’aquila reale e del falco pellegrino o pigola alle nidiate dei passeracei o ulula con la fame del lupo a falcate soffici sulle nevi d’inverno e si muove con i passi felpati della volpe a caccia di pollai e grumisce con i cinghiali a devastazione di coltivi, ma incanta anche con la coda di champagne degli scoiattoli o incuriosisce nel letargo pacioso dei ghiri.
Ed è musica il corso di fiumi e torrenti che caracollano a valle, s’inabissano e riemergono nei brevi tragitti carsici o si caricano di sali nelle grave e nelle grotte nel ventre nero della terra per esplodere con la gloria della luce nei capricci delle risorgive a cesellare stupende sculture di stalattiti e stalagmiti a materializzare cupole di chiese o minareti di moschee, scintillano in effimeri coralli d’argento a rompere e superare con fragore barriere di pietre levigate nei secoli e la musica rotola e si frantuma sotto ponti umbratili o in pozze lacustri regno di eserciti di trote sguscianti a gara d’arditezza vanesia nei colori cangianti o di lontre a timida fuoriuscita dalla tana lipposa.
Oh, la bellezza sconosciuta della mia terra! Oh, la forza travolgente delle emozioni di una natura immacolata nella sua verginità! Oh, la ricchezza da immettere con intelligenza nei circuiti del ricco mercato dell’ecoturismo, se solo si avesse la sensibilità di attivare una promozione tesa ad esaltare flora e fauna di un territorio che espone con generosità e naturale disinvoltura i suoi tesori!
E non sono i soli, perché sul territorio del Parco è vissuto e vive l’uomo, che, con fertile inventiva azionata dal bisogno, ha vangato, sarchiato, piantato, potato una flora per dare vita ad una agricoltura di sussistenza contando non sulla meccanizzazione, che ha toccato da pochi decenni e solo in parte il mondo dei nostri campi, ma sugli animali da soma, il nobile cavallo, il mulo testardo, l’asino paziente o sui buoi adusi al giogo dell’aratura e al “triglio” della pisatura. Straordinarie pagine della povera epopea della civiltà contadina!!!
Ma il Parco è “territorio antropizzato” e da sempre l’uomo vi ha svolto attività produttive e lo ha abitato. Una scrupolosa analisi geostorica sociale e politica nel senso più ampio delle parole, ne può suggerire numerosi itinerari stimolanti di scoperte e ricchi di sorprese che io ho ampiamente trattato nel corso dei decenni nelle mie numerose pubblicazioni, a cominciare da “CILENTO IN CHIAROSCURO” e che qui mi limito ad elencare e che, nel caso, potrei anche riprendere e trattare con ampiezza di opportune riflessioni: 1) itinerari archeologici; 2) itinerari monastici basiliani; 3) itinerari monastici benedettini;4) itinerari della libertà; 5) la civiltà contadina; 6) il baronaggio; 7) sulle orme dei briganti; 8) i santuari mariani e rupestri; 9) i luoghi di San Matteo… E l’elenco potrebbe continuare con l’itinerario dell’artigianato, del folclore, della gastronomia, dei cilentani illustri, dei fenomeni carsici, delle grotte preistoriche, dei fenomeni carsici, dei luoghi del mito, dell’archeologia marina, ecc. ecc. Ma prometto che ritornerò sul tema, perché il Cilento è e resta una miniera inesauribile di sorprese e scoperte per chi sappia leggerlo CON CURIOSITA’ D’AMORE.