Sono stati 28 i comuni situati nell’area compresa nel perimetro del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni nei quali i cittadini sono stati chiamati alle urne per confermare o cambiare il sindaco che li avevano amministrati negli ultimi 5 anni. Alcuni erano alla prima esperienza, altri con già dieci anni di mandato sulle spalle, altri ancora hanno amministrato per ancora più tempo …
In molti casi i candidati sindaci hanno “corso” senza avversari, in altri le liste sono addirittura ste tre come è accaduto a Valle dell’Angelo, il comune più piccolo della Campania con 217 abitanti Una delle tre liste ha preso un solo voto!
I sindaci eletti hanno nomi noti alla cronaca politica del nostro territorio, altri si affacciano alla ribalta per la prima volta. Fatta eccezione per Capaccio Paestum, Sala Consilina ed Ascea, tutti gli altri sono accomunati dagli stessi problemi di sempre: decremento demografico e conseguente perdita di valore del patrimonio immobiliare.
Infatti, quando il numero di abitanti scende sotto i mille residenti effettivi, la vita sociale, economica e culturale si deprime fino a scadere in una caduta libera senza possibilità di risalita.
Questo aspetto è diffuso anche nelle altre decine di paesi e borghi che punteggiano l’area protetta non interessati al rinnovo dei consigli comunali.
Pertanto è un “dramma” che non allarma, è una fotografia che non preoccupa, è un precipizio che non provoca reazioni …
Eppure,nel dicembre del 1991con la nascita delParco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e la conseguente istituzione dell’ente Parco per la sua gestione con sede a Vallo della Lucania nel 1995, le speranze di un balzo in avanti non furono più solo un’illusione.
Infatti, l’area protetta, con un’estensione di circa centottantamila ettari, è interamente compresa nella provincia di Salerno, accese speranze alimentate da una pioggia di finanziamenti arrivati dallo stato centrale senza passare dai corpi intermedi dello stato: regione, provincia, comuni, comunità montane.
Fu gettato un ponte sul quale far passare speranze di riscatto di intere comunità che avevano molte ragioni per unirsi nell’identificarsi in un progetto territoriale e integrarsi nella speranza che l’unione potesse essere la forza trainante per ripartire.
Purtroppo, decremento demografico, decadimento del patrimonio immobiliare e una visione d’insieme delle problematiche e conseguenti hanno abbattuto ogni speranza di riscatto e il territorio si sente ostaggio di un destino irreversibile che lo trascina verso l’estinzione antropologica.
C’è però ancora una fiammella che potrebbe riaccendere la speranza che non tutto è perduto …
I piccoli comuni al di sotto dei mille abitanti potrebbero fondersi rinunciando alla oramai “identità” sbiadita dall’inconsistenza numerica, per ottenere dallo stato risorse fresche da investire in modo autonomo per rivitalizzare la voglia di “vivere” a chi è restato e incentivando il desiderio di chi cerca più spazio e meno velocità dove vivere e far crescere i propri figli.
Le fusioni, inizialmente regolate dagli articoli 15 e 16 del Dlgs 267/2000 sono state successivamente oggetto di ulteriori attenzioni da parte del legislatore nazionale che con la legge del 7 aprile 2014, n. 56, ha previsto nuove norme di semplificazione per promuovere la realizzazione. La legge “prevede che il nuovo ente ottenga, per 10 anni, un contributo statale in più pari al 60% della somma di quelli di cui hanno diritto come enti autonomi”
Pertanto, se due comuni che contano 1000 abitanti ciascuno che oggi possono contare su circa 500.000,00 euro a testa, per un totale di un milione di Euro, in caso di fusione otterrebbero circa €1.600.000,00. È facile immaginare che, alle risorse aggiuntive, si andrebbero a sommare i risparmi dovuti all’economia di scala prodotta dalla fusione.
Cosa importantissima da tenere in considerazione è che le risorse aggiuntive sono nella piena disponibilità programmatoria del nuovo ente. Pertanto, non potrebbe accadere, come accade frequentemente, che il venga spese risorse per costruire un asilo nido dove nascono due bambini all’anno, e non si trovano quelle per organizzare un’assistenza domiciliare per le persone sole che sono la maggioranza dei residenti resilienti.
Insomma, anche se la situazione è compromessa per quel che concerne la capacità dell’ente Parco di fare la differenza, resta in piedi la volontà di non rassegnarsi all’estinzione di chi ancora “popola” i piccoli borghi.
Sta all’intelligenza di chi ha responsabilità di governo fare passi avanti nella direzione giusta e non inseguire impossibili quanto improbabili sogni di riscatto continuando a scalare il futuro immaginando di potersi salvare da soli. Ed anche se qualcuno dovesse riuscirci a spese degli altri che vivono a fianco, sarebbe in ogni caso un deserto demografico da attraversare senza nessuna certezza che i guai degli, già conclamati, riescano a compensare i propri.