Il Cilento è una madre di pietra e di terra, di sole e di spuma marina, di montagne scoscese e di rupi a strapiombo sui fiumi; è una terra dai seni dolci e dai denti aguzzi, dal morso feroce e dalla tenerezza sconfinata, che si descrive da sola spiegandosi nelle sue infinite contraddizioni. Il Cilento comincia dopo l’ultima impronta poggiata dai piedi di quel Cristo che si fermò a Eboli, e si apre nella sua frastagliata e multiforme contraddittorietà: il Cilento inizia proprio là dove sono i templi di Paestum, la zona archeologica attraversata dall’alito di Nettuno e Cerere.
Paestum è nata appunto proprio dalle mani dai Greci, che la fondarono col nome di Poseidonia, intorno al 600 a.C., perché sorse in omaggio a Poseidone, dio del mare: il litorale tirrenico ospita la città e la culla da secoli, come se fosse una grande perla in un’ostrica.
Tra il 400 e il 273 fu occupata dalla popolazione italica dei lucani e, proprio nel 273, divenne colonia romana col nome di Paestum.
Inizialmente vi era un porto marittimo e fluviale presso la foce del fiume Silaros, e proprio lì nacque il tempio di Era Argiva, che divenne fin da subito uno dei più maestosi e ricchi santuari di tutto il Sud Italia. Purtroppo anche Paestum ebbe un periodo di crisi, durante il 500 d.C: la malaria colpì la città, si diramò a macchia d’olio per via dell’insalubrità del territorio, e la città venne gradualmente abbandonata fino ad arrivare a un vero e proprio spopolamento. Bisognerà aspettare il 1762 per una riscoperta dei fasti dell’antica Poseidonia, con la costruzione della strada moderna che l’attraversa tuttora.
Pensare a Paestum oggi significa sentire il sale del Tirreno sulla pelle, sentirne la potenza dei flutti e del moto ondoso che trasporta gocce di leggende, perle di miti e sussurri di epoche lontane. Paestum è intreccio di epoche incastonate nel telaio della storia, dal Neolitico fino alle voci di Greci, Bizantini e Saraceni: se dovessimo tracciare sulla sabbia il cerchio della storia di questo centro costiero, inizieremmo dal ritmo ancestrale delle epoche preistoriche, seguendo il profilo del corpo della città, che nei secoli ha cambiato volto a seconda del sussurro dell’antichità. Fin dal Neolitico, il territorio di Paestum è stato frequentato da popolazioni dedite all’arte della caccia e della pesca: la caccia era favorita dal proliferare di freschi boschi di macchia mediterranea, fitti e lussureggianti, e la pesca dalla distesa marina che si dispiegava a vista d’occhio.
Alla foce del fiume Testene, vicino Agropoli, vi era una piccola baia, utilizzata poi in seguito dai Greci per gli scambi commerciali e per comunicare proprio con la vicina Poseidonia (Paestum): tra i due centri, Agropoli e Paestum, fin da subito vi fu un legame imprescindibile.
Ma soprattutto, in molti non conoscono la storia della rosa di Paestum, che è stata famosissima nell’antichità e oggi continua a conquistarci col suo profumo.
Come la ginestra leopardiana che non china il capo dinanzi al morso della sorte, anche le rose di Paestum sfidano le intemperie e fioriscono, più forti di prima, ergendosi sui rovi.
Fragranze, profumi e petali carnosi, si inseguono intrecciandosi tra le parole mitiche e leggendarie di un poemetto di Virgilio, o almeno, attribuibile proprio al poeta mantovano, il De Rosis Nascentibus.
Nel poemetto di probabile attribuzione virgiliana, si fa riferimento proprio alla tecnica che vedrebbe le rose innestarsi su un rovo, con la conseguente creazione di un ibrido. È vero che vi sono grossi dubbi su una certa paternità virgiliana del poemetto, però è anche vero che, proprio in una delle opere maggiori del poeta mantovano, le Georgiche, le rose pestane vengono citate:
“Se già non fossi al termine del mio lavoro canterei quale arte della coltivazione adorna i fertili giardini ed i rosai di Paestum che fioriscono due volte all’anno” (Virgilio, Georgiche IV, 116-124)
La rosa pestana, dal profumo inebriante che sa di arte, passato e letteratura, è come una ricostruzione floreale delle radici del Cilento, come se i suoi petali dischiudessero antichi miti e aneliti di leggende portate via dal mare e dai templi. Non c’è nulla di meglio che passeggiare tra i templi di Paestum, ricordare i fasti della classicità e lasciarsi inebriare dalle fragranze mitiche delle rose; passeggiare e immaginare le antiche rose, che all’epoca non erano sicuramente rosse come ce le figuriamo nell’immaginario collettivo, ma di un incarnato rosaceo e delicato, ritempra lo spirito e nobilita il viaggio.
Che le rose di Paestum possano essere stella polare e bussola per ogni fortunato e felice viaggio in Cilento, sulla scia della classicità e della leggenda.
Monica Acito