Come avevo anticipato nel mio ultimo articolo, a cominciare da oggi tratterò i temi che avevo preannunziato e che ritengo siano importanti e non più rinviabili per uno sviluppo armonico dell’intero territorio di Capaccio Paestum. E, a mio modesto parere, la campagna elettorale è il periodo più opportuno e valido per dibatterli con il coinvolgimento diretto degli elettori, che potranno così prendere consapevolezza delle problematiche della loro comunità, da un lato, e dell’impegno di risolverle a breve, a medio o a lungo termine da parte dei candidati, dall’altro, nella logica di una corretta forma di dialogo e di compartecipazione democratica tra amministratori ed amministrati. Spero che queste mie riflessioni non siano considerate come una illecita invasione di campo, ma un modesto contributo di collaborazione da chi è nato a pochissimi chilometri di distanza e, da sempre, considera Capaccio Paestum come punto di riferimento per tutto il vasto territorio della Kora Pestana, come storia e tradizione consentono e consigliano. D’altra parte sono idee e progetti che già ho avuto modo di trattare spesso nel corso degli anni.
La lotta per l’occupazione delle terre e la conseguente Riforma Agraria, anche se monca, rivoluzionarono nello spazio di un decennio costume, economia e vita di un intero territorio più di quanto non avessero fatto tutti i secoli precedenti messi insieme.
Rifiorì l’agricoltura con prodotti di pregio e di nicchia. Mosse i primi passi il turismo, che, in seguito, esplose tumultuoso e caotico con l’imbarbarimento di costa e pianura sull’onda anomala di una urbanizzazione intensiva e di rapina. Si prosciugò la palude geologica, ma restò il pantano della politica (!?) e dell’incultura, salvo qualche raro miracolo di ninfea solitaria. E comunque un’analisi minimamente seria dei mutamenti etno-antropologici, sociologici e politici dell’intero territorio comunale non può che partire di là.
Il vecchio CAPOLUOGO è regno sempre più esiguo di quanti, a tutela di orgoglio di identità e ad argine di migrazione biblica verso il mare con tutto il suo carico di problemi di cui mi sono occupato ampiamente altre volte. La Piana, frutto di un meticciato raccogliticcio e molecola rizzata, come è, tra borghi e casali rurali, non ha un’anima e manca di identità. L’Area Archeologica è involgarita, spesso, da un turismo mordi e fuggi, che esalta il pendolarismo dei visitatori sudaticci a caccia di gelaterie e pizzerie dopo le brevi escursioni a fruizione di museo e templi dorici. Gli imprenditori turistici (sono tanti ed alcuni anche di buon livello) hanno interessi consolidati, anche se non sempre con una visione unitaria della qualificazione, della diversificazione e della destagionalizzazione dell’offerta, arrancano ad ipotizzare un progetto articolato in sintonia e sinergia tra loro. Il Mondo delle campagne, atomizzato in numerose categorie, spesso rissose ed in conflitto tra loro, non sempre riesce ad esprimere speranze e problemi in un progetto condiviso per obiettive incapacità dei protagonisti e per tacita quanto palese pigrizia di leader, o presunti tali, che su questa parcellizzazione spesso hanno costruito fortune economiche e carriere (!?) politiche. Di sicuro il mondo dell’agricoltura e della zootecnia dà voce, quando la dà, a problemi di interessi diversi da quelli del turismo. Il compito della Politica è quello di ridurre ad un UNICUM queste due realtà, che non comunicano tra di loro. E’ tutta qui la scommessa. Forse il collante potrebbe essere la CULTURA nel senso più ampio dell’accezione del termine. E, a mio modesto parere, è l’unica strada fruttuosa e produttiva per un mélange che ne esalti e fonda gli interessi condivisi.
La società italiana è fluida. Sfugge a controlli ed indagini per la rapidità dei mutamenti, come sostengono acutamente sociologi e politologi. Il fenomeno è drammaticamente dilatato nella pianura pestana con la conseguenza della quasi impossibilità di incasellare in categorie più o meno credibili le schegge, spesso impazzite della rappresentatività sociale ed economica. La politica o non si pone il problema o è incapace di farne una lettura accurata. Eppure non è più tempo di gestire stancamente l’esistente, all’insegna della più piatta routine della quotidianità. Urge uno scatto di orgoglio ed un guizzo di fantasia per una radicale rivoluzione, delle coscienze innanzitutto, se si intende costruire un futuro minimamente competitivo sui mercati. Di qui la necessità di eliminare, in primo luogo, la frattura tra i mondi dell’agricoltura e della zootecnia, da un lato, e quello del turismo, dall’altro, per sinergizzarli, invece, in un rapporto proficuo e duraturo. E la strada per raggiungere l’obiettivo è quella di una valida infrastrutturazione dell’intero territorio nel segno della cultura: Un laboratorio di politica del turismo e per il turismo, parchi fluviali (Sele, Capodifiume, Solofrone), museo del sacro, dell’agricoltura e zootenia, masserie didattiche, biblioteche e cineforum di quartiere/contrada, utilizzando i locali delle scuole, efficaci forme di acculturazione per tutti, dando a tutti pari opportunità per cancellare definitivamente la convinzione che, soprattutto nel turismo, ci sono pochi privilegiati che banchettano lautamente e molti, troppi, a cui sono destinate soltanto le briciole. In definitiva operare in modo che le tante contrade nate e cresciute in orizzontalità dal Sele al Solofrone ed in verticalità dal mare alle colline abbiano un ruolo di protagonismo e si sentano parte attiva ed integrante di una comunità condivisa, che, finalmente dalle tante ISOLE è diventata un ARCIPELAGO in una rete feconda di interconnessione, comunicazione e rapporti. Il progetto è ambizioso, lo so. E per realizzarlo c’è bisogno di una classe dirigente nuova, giovane dentro, motivata, proiettata verso il futuro. Invece in giro ce n’è una vecchia, stanca, demotivata, inadeguata e con in più, spesso, la pesante responsabilità del passato remoto e prossimo ed il conseguente pericolo incombente di altri guasti per il futuro. Spero di sbagliarmi, naturalmente.