di Oscar Nicodemo
What’s your price? La domanda non rivela solo il senso della corruzione. Non c’è solo il prezzo da pagare per rimettere la nostra anima nelle mani di chi dovrebbe agevolarci l’esistenza, ma ce n’è un altro, verosimilmente, da scontare per le nostre scelte sbagliate, o mancate. Paghiamo una pena al cattivo sortilegio per non aver saputo difenderci dall’arrivismo più illusorio, dal consumismo più sfrenato: questo il messaggio di base dell’opera fotografica di Di Canto, artista trentinarese di spiccata sensibilità. Diciotto scatti divisi in sei trittici, legati tra loro da un filo conduttore che rivela, nella bellezza drammatica delle immagini, l’inferno di una condizione umana che tocca la fragilità dell’essere. Seguire falsi modelli di progresso porta al regresso della coscienza, che, se non adeguatamente curata prende a dissolversi, trasformandoci in ciò che in principio non eravamo. Perdendo di vista il concetto kantiano del rispetto della legge morale dentro di noi, ognuno rischia di diventare altro da sé, fino a sprofondare nella miserabile condizione esistenziale evidenziata dalle opere dell’autore.
Così, gli scatti di questo osservatore attento vanno a fotografare una veridicità che va ben oltre la realtà: egli non è andato per strada a riprendere il tossicodipendente, l’avvenente che si illude di diventare un personaggio celebre, o il ludopatico incollato ad una slot machine. Ha fatto di più. Molto di più. Ha guardato dentro le loro anime, in profondità, rivelando l’intensità della disperazione, come ultimo stadio di una condizione più vicino alla morte che alla vita. Ed è qui che scatta il messaggio di speranza che il valore ben visibile delle foto nasconde senza, tuttavia, farne perdere traccia, sì da poter distinguere nel lavoro di Di Canto i risvolti più inquietanti ed estremi della “tragedie humaine”. Pertanto, la fotografia, alla stregua della letteratura e della pittura, ci apre a sequenze che scoprono gradualmente, scatto dopo scatto, sofferenza dopo sofferenza, la gigantografia di uno squilibrio psichico collettivo, le cui origini vanno ricercate nella presunzione stessa dell’individuo. E senza uscire dal campo dell’arte, il nostro autore conferisce alla sua visione intimistica dell’eterno dramma esistenziale un senso estetico di rilevante matrice tecnica, dando l’opportunità di contemplare l’intensità tragica di una fotografia davvero significativa: l’illustrazione spettacolare del dramma, per evitarlo, ma non ignorarlo.