Se la Pubblica amministrazione ostacola l’attività di un imprenditore ne paga i danni, ovvero le conseguenze. Lo fa sapere con una sentenza (1457 del 6 marzo 2018) il Consiglio di Stato. La novità rilevante introdotta dalla sentenza riguarda il calcolo del risarcimento e, in particolare, il meccanismo adoperato per definirlo: i giudici quantificano gli utili perduti, senza il ricorso a consulenze esterne.
Nella causa i giudici hanno valutato le ipotesi in cui il ministero non avesse apposto ostacoli, giungendo al calcolo del tempo imprenditoriale perso: due anni, convertiti in utili non percepiti.
Pertanto, l’attività turistico balneare di un imprenditore di un Comune salentino che aveva investito risorse su circa 40 mila metri quadrati ristrutturando trulli e collocando opere accessorie a un’iniziativa balneare. Iniziativa bloccata per due volte dalla Soprintendenza per i beni archeologici e poi annullata due volte dal Tar locale.
A giudizio del Collegio, rientra pertanto nelle conseguenze immediate e dirette, nel senso innanzi precisato, il pregiudizio consistente nel mancato introito dei guadagni ricavabili dall’attività commerciale poi effettivamente attivata sull’area. Per la quantificazione di tale importo non si ritiene necessario disporre una consulenza tecnica di ufficio, anche in considerazione delle esigenze di economia processuale e del lungo tempo già trascorso dall’epoca del fatto dannoso.
Nel caso di specie, il mancato introito deve essere correttamente parametrato al ritardo con il quale è stata avviata l’attività, ovvero al periodo nel quale, a causa dei provvedimenti illegittimi dell’amministrazione, la società non ha potuto disporre dell’area.
In questo articolo, invece, a parti invertite, avevamo trattato del caso di un professionista che aveva intralciato l’attività della Pubblica Amministrazione.
Fonte: lentepubblica.it