Expertscape.com, il portale americano che si occupa di individuare esperti in un determinato campo biomedico ha deciso che i dottori Antonio Raffone e Antonio Travaglino di Gragnano in provincia di Napoli, fossero i più grandi esperti al mondo nel campo della ginecologia oncologica. Iperplasia endometriale e neoplasia endometriale sono i campi di ricerca dei due giovani trentenni che da ben tre anni si sono occupati di queste due malattie oncologiche che, unitamente ad una dieta molto ricca di grassi e con l’aumento della sindrome metabolica, possono diventare ancora più comuni nei Paesi industrializzati. Il dottore Antonio Raffone, è giunto da più di un mese all’ospedale “Luigi Curto” di Polla ed è entrato a far parte del team dell’Unità Operativa Complessa di Ostetricia e Ginecologia guidata dal direttore Francesco De Laurentis. “Sono molto orgoglioso ed entusiasta di questo incarico che ho assunto da poco – ha detto il dottor Raffone – l’ospedale di Polla mi ha accolto con grande entusiasmo e ringrazio il primario De Laurentis per la fiducia che mi ha infuso da subito”. Raffone vanta un curriculum impeccabile: con 110/110 lode e menzione alla carriera, nel 2015, ha conseguito la laurea in Medicina in Chirurgia all’Università di Napoli “Federico II” a seguito di un periodo di internato in Ostetricia e Ginecologia seguito dal professore Antonio Mollo. Dopo la specializzazione proprio in questo settore è approdato a Polla dove tuttora è in servizio. A Gragnano, suo paese, ha ricevuto insieme al collega di studi Antonio Travaglino anche un importante riconoscimento dal sindaco Aniello D’Auria. “Tutto nasce da un quesito clinico, da specializzando insieme al professore Mollo, ci trovavamo a confrontarci con pazienti anche in giovane età che necessitavano di un trattamento per una patologia precancerosa come l’iperplasia endometriale o maligna come il carcinoma dell’endometrio iniziale appunto legato alla giovane età – dice il massimo esperto Raffone – quindi da una parte c’era il rischio oncologico della patologia e dall’altra parte si presentava la necessità di preservare l’utero per preservare cioè ovviamente la fertilità. Ciò che ci trovavamo a notare come quesito clinico, su una percentuale variabile di pazienti, anche riportate in letteratura variabile per il tipo di casistica o di trattamento a cui erano sottoposte, era che rispondevano a un trattamento conservativo che le permetteva di conservare l’utero per un periodo limitato di tempo che garantiva così una finestra riproduttiva alla paziente, alcune pazienti rispondevano dunque e altre no. O rispondevano ma poi recidivava o progrediva la patologia, allora, ci chiedevamo esattamente quale poteva essere la motivazione e come potevamo capirlo prima per sottoporle a un trattamento più aggressivo o più stretto ancora. Oggi, per il trattamento conservativo si prevede la recezione stereoscopica della patologia e l’apposizione di una spirale medicata o eventualmente il progestinico assunto per via sistemica, per via orale. Abbiamo visto i follow up da tre a sei mesi per vedere se la patologia regredisce o meno e per capire qual è il timing adeguato per rimuove la spirale o per introdurre il trattamento progestinico orale e quindi destinare la paziente al tentativo di gravidanza per poi dopo la gravidanza rimuovere l’utero. Quindi ci chiedevamo quali pazienti potevano servirsi di trattamenti più specifici e se fosse stato un problema di microambiente. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un tumore che ha una base ormone dipendente cioè ha uno sbilanciamento degli estrogeni rispetto al progesterone. Ci chiedevamo appunto se fosse la singola iperplasia con un discorso mutazionale alla base da lesione a lesione”. Poi prosegue: “Ci chiedevamo come fare a predirlo e iniziammo a studiare le varie esperienze riportate in letteratura relativamente a diversi marcatori che permettono di capire l’espressione di alcune proteine che rappresentano l’effetto a valle della mutazione genetica a monte e che permettevano di studiare sul pezzo istologico prelevato dalla diagnosi prima di iniziare il trattamento conservativo sull’esame istologico a basso costo. E, alla fine, riuscimmo a identificare alcuni marcatori immunostatinici che ci permettevano di predire, per cui dopo nel tempo, abbiamo iniziato a studiare sulla nostra casistica. E abbiamo anche depositato un brevetto il 3 agosto 2020 in Camera di Commercio, brevetto che abbiamo inventato per la prevenzione di risposta, in modo da garantire a tutta la comunità scientifica uno strumento per predire prima del trattamento la risposta. E poi non solo ci siamo dedicati al trattamento conservativo e alla lesione precancerosa, ma ci siamo dedicati anche al cancro in fase avanzata, ma anche quello che non poteva essere trattato conservativamente e, ci siamo trovati quasi fortunatamente, in un periodo favorevole per il carcinoma dell’endometrio perché, intorno al dicembre del 2013 gennaio 2014, nasceva la Precision Medicine Iniziative che destinava gran parte dei fondi alla medicina di precisione che andava a contrastare quella precedente la cosiddetta medicina stratificata dove le pazienti erano stratificate a gruppi. Allora la paziente ha iniziato ad avere singolarmente la giusta terapia personalizzata e il suo giusto tempo”. L’esperto aggiunge: “Furono destinati grossi finanziamenti per grosse casistiche verso i carcinomi di tutti gli organi e paradossalmente chi ne ha beneficiato di più è stato il cancro dell’endometrio. E grazie all’iniziativa americana, si è previsto che la stratificazione prognostica che avevamo fatto negli anni scorsi per il carcinoma dell’endometrio era di fatto inadeguata. Parallelamente lavoravamo su come andare a visionare la diagnosi e, abbiamo cercato di rendere più oggettiva e precisa, la valutazione sia diagnostica che prognostica di queste lesioni precancerose e valutare qualsiasi quadro che si sposta dalla normalità all’anormalità che non ha demarcazioni nette, ma si avvale di lesioni sfumate fino a una progressione da una fase all’altra e quindi cercammo di delineare bene i confini su quali lesioni erano più preoccupanti di altre e abbiamo posto una classificazione che permetteva di identificare lesioni precancerose che potevano essere riconosciute perché in una fase molto iniziale e viceversa potesse garantire una visione personalizzata delle lesioni a più alto rischio”. Raffone poi termina: “Da questo una gestione e un’accuratezza, una tempistica sia di follow up che di intervento che tenesse conto della pericolosità della lesione diversa da paziente a paziente”. Una soddisfazione per l’ospedale di Polla guidato da Pasquale Vastola che si trova un’unità operativa così preparata come quella del dottor Raffone che, apporterà senza dubbio, beneficio all’intero territorio, trattando problematiche di salute alquanto complesse, ma da oggi grazie ai suoi studi e alla sua brillante ricerca, affrontabili anche nel Vallo di Diano.
Antonella Citro