“In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la parola era Dio”. Questo il misterioso quanto enigmatico “incipit” del Vangelo di Giovanni in cui la “parola” condividendo con Dio la sua stessa natura reclama a sé con ogni cosa esistente, il mondo. Principio e fine la parola è l’alfa e l’omega e tutto quello che il tempo senza vecchiaia da sempre racchiude in sé e nulla al di fuori “senza di lei è stato fatto di ciò che esiste”chè solo la parola e non la bellezza salverà il mondo e questo, maestro, è il tuo testamento al mondo, all’esistenza di ognuno di noi che travolta dal tirannico governo del “quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti” inesorabilmente si “sciupa” e si consuma nella “gaia agonia dell’essere” obliato e nascosto!
Obliato l’essere per la morte della metafisica che rinunciando al suo dovere primario di andare oltre l’apparenza, ha ridotto la nostra vita ad un mero oggetto che trascinandola “banalmente” nel presente governo della misura continuamente “ap-prezzata” e pesata, muore in un mondo in cui, oltre ogni etica, il relativismo diventa ordine e comando non mancando poi fatalmente la vita di esigere il suo compenso!
Eppure non era questo il mondo, l’esistenza che avevamo sognato, maestro, quando in quei lontani anni giovanili, bussando alla tua porta ti chiesi di capire e tu felice di un novello discepolo che bussava, apristi ben disposto a farmi entrare ed a consegnarmi a quel buon combattimento “esistenziale” chè per la tua opera, si fece subito più chiaro rompendo d’improvviso e per sempre quegli studi di matematica che pure avevano rapito il mio genio e inevitabile venne la filosofia e con la vita si prese anche i miei studi e fui tosto, in breve tempo, dottore in filosofia con una tesi che per l’opera del tuo antico maestro Federico Nietzsche si fece bandiera non solo contro i tanti “idola theatri” del tempo ma in particolare contro non il conformismo “banale” del “si pensa, si dice e soprattutto si fa” che trasformando il discorso in chiacchiera e la conoscenza in curiosità si fa feroce “dittatura” del “comune senso del pudore”!
La mia tesi, ricordi, maestro, passò ma anche se il nome di quel tuo antico maestro e tu stesso, troppo interessatamente “abusato” fu dal pensiero dominante “tacciato” di fascismo, mentre … era solo alto il suo grido e tu, maestro, lo avevi inteso prima di tanti altri quando, esponendoti, affermasti che annunciando quel grande la “morte di Dio” e con la morte di Dio la fine della metafisica anticipasti solo il dilagante nichilismo del nostro attuale “inattuale” presente! Un dominio tirannico e inquietante della scienza che obliando l’essere, intende il mondo ed ogni suo ente “intramondano” come una risorsa sfruttabile e quindi riducibile ad un qualunque cosa materiale che può per le leggi del mercato essere pesato e misurato anche l’uomo stesso, che pure aveva all’inizio del suo cammino“ coltivato” e talvolta praticato altre e più alte aspirazioni!
E se con l’avanzare della scienza la metafisica ha fallito il suo scopo ed il suo linguaggio si è reso vuoto di ogni significato e si è ridotto il suo pensiero a mero governo tecnologico del mondo chiudendosi alle profondità l’essere che pure all’origine del suo cammino aveva “custodito” ed al quale per quel lontano imperativo categorico che ci comandava di diventare quello che eravamo stati, l’uomo aveva guardato … occorre allora tentare altre vie e altre più nuove forme d’espressione che trascendendo la nuda gravità della scienza possa scendere nelle perdute profondità abissali dell’essere dove “ con l’incombere del pericolo, come ci rivela il grande poeta F. Holderlin, si annida la salvezza”!
Salvezza che non potrà più quindi venire dalla filosofia tanto meno dal linguaggio della morta metafisica che pure un dì aveva agognato di possedere con l’essere il mondo ma da un altro linguaggio che pure antico si mostra sempre nuovo, imprevedibile e particolarmente sorgivo che non può essere il linguaggio dell’arte meglio ancora della poesia . La sola che con le sue improvvise quanto imprevedibili illuminazioni può con i suoi bagliori accecanti scandagliare le profondità più remote dell’essere e per noi di tentare nuovi, inattesi, improvvisi svelamenti e consegnarci come il poeta scrisse, per “ qualche storta sillaba e secca come un ramo” qualche autentico spiraglio di quell’essere nascosto che abbiamo obliato . E come in una eterna, circolare teoria di svelamenti e nascondimenti può accadere che un giorno trasportati per il potere della “parola” a camminare per uno stretto sentiero nel buio della foresta, possa d’improvviso accaderci di sfociare in una aperta “radura” dove il cammino improvvisamente allargandosi si rischiara e noi come trafitti da qualche sparuto spiraglio di luce , come già accadde al grande poeta, potremo : “da un malchiuso portone/ tra gli alberi di una corte /ci si mostrano i gialli dei limoni; /e il gelo dei cuore si sfa/ e in petto ci scrosciano /le loro canzoni /le trombe d’oro della solarità” e allora tutto si scioglie e l’essere che urgeva e premeva sgorga e educati (nel senso suo etimologico di “tratti fuori”) alla consapevolezza di un’esistenza autentica abbandoniamo il “banale commercio con la gente e con le troppe parole” e sollevandoci per quella“maglia rotta nella rete che ci stringe” dalla schiavitù del peso e della misura rompiamo le catene della scienza e ci consegniamo volentieri alla speranza di una vita più autentica e vera!
Un“rammemorando” improvviso dell’essere, una forma di antico esoterismo poetico, una tensione evocativa della parola che oltre gettandosi “l’epanallesi enfatica” del vivere quotidiano, si pone all’ascolto della voce dell’essere e come del gregge il pastore, non padrone ma custode si fa, così la poesia accostandosi per le sue improvvise illuminazione“alle vicinanze dell’essere” essa compirà il miracolo. E se non come il granello di Marco che rispose fu totale all’attesa del seminatore, essa no risponderà completamente svelandoci tutti i segreti l’essere, pure ci donerà il privilegio e concedendoci di raccoglierci talvolta nel silenzio stesso dell’essere ci consegnerà la vita che il mondo ci invidia e ci tradisce, chè, come tu scrivi, maestro, non la bellezza salverà il mondo ma la poesia e … noi che di te fin dall’inizio ci facemmo umili discepoli e tentando,maestro, cademmo, pure ci conforta e ancora ci sostiene e per sempre la tua promessa che solo se “il pensiero tornerà a poetare l’enigma dell’essere” il mondo si salverà, regnando con la poesia ancora la bellezza!
“Questo,Maestro, nel novembre nascosto, il fiore che ti porto”
(Stesa nelle ore antimeridiane di lunedì 13 novembre dell’anno 2017)