Il bombardamento della base siriana è un atto di rottura dell’opzione di Obama e un tentativo fatto da Trump per avvicinarsi agli oppositori anche a costo di scontentare i suoi elettori di estrema destra. Ma questa opzione non risolve per nulla la situazione siriana molto più complessa dicome è disposto e capace di leggerla l’attuale presidente degli Stati Uniti. Essa é carica di tutte le contraddizioni oggi presenti nel Medio Oriente dove si combatte una guerra civile, una tra stati e quella mondiale. La decisione di Trump pare dettata dal desiderio di mandare un segnale alle zone calde del mondo. ma anche un tentativo di uscire dalle nebbia del dopo elezioni, una vittoria sempre più contestata all’interno. Sembra quasi un tentativo d’imitare lo scialbo Bush dopo l’11 settembre per divenire uno statista globale. Ma Bush poteva avvalersi della consulenza di tanti amici del padre da decenni parte dell’establishment statunitense, Trump invece fa emerge sempre più l’approssimazione del suo approccio per decisioni casuali frutto d’improvvisazione acuita dai contrasti interni ai vari potentati abituati a dettare l’agenda in politica estera. Ad esempio, nel dipartimento di stato devono essere ancora individuati coloro che devono occupare 40 posti di media e elevata responsabilità, situazione aggravata dalla lentezza con cui si procede alla nomina degli ambasciatori di scelta politica. La situazione interna è ancora molto confusa come dimostra il dibattito per l’approvazione del bilancio che prevede incrementi per il dipartimento della difesa e tagli al dipartimento di stato. Trump deve farlo approvare per evitare un’altra sconfitta, che appannerebbe ancor più la sua immagine come è capitato con l’obamacare.
L’altra sera abbiamo assistito ad un invito a cena con sorpresa di Trump col presidente cinese al quale in un orecchio ha sussurrato di aver deciso di colpire in Siria con l’intenzione di far capire di essere pronto a fare la stessa cosa con la Corea e dimostrare che alle parole fa seguire l’azione secondo la prospettiva di Teddy Roosevelt, inventore della politica del bastone! Questo comportamento non deve meravigliare se si leggono i libri di Trump pubblicati prima delle elezioni, una miniera per comprendere il personaggio e i suoi principi ispiratori. Come negoziatore impegnato a costruire un impero economico egli ha dichiarato di non aver avuto remore nell’alternare carezze a schiaffi, comportamento che, applicato alla politica estera, darebbe conto di una personalissima gestione, certamente poco adatta per venire a capo della complessità del mondo attuale. Trump non ha riflettuto su come il leader cinese possa interpretare il messaggio: l’attenzione prestata alla Siria di Assad distrae dal Pacifico e consente alla Cina di presentarsi come una pacifica e credibile potenza, interessata a ricostituire e rendere sempre efficace l’antica via della seta. Circa il dittatore coreano, questi fa paura agli stati confinanti e alla stessa Cina perché non ha niente da perdere; fonda le sue scelte sulla paura che riesce a incutere memore di come è finito Sadam privo della bomba atomica. Ma il messaggio di Trump di fatto non è praticabile: infatti è impossibile un attacco a sorpresa che possa disarmare contemporaneamente le testate atomiche coreane, mentre la ritorsione sarebbe tragica per confinanti. Anche l’intenzione di Pechino di operare per elevare le condizioni della poverissima Corea troverebbe l’opposizione del dittatore, il quale vuole che il paese rimanga nella stessa condizione, disposto a credere di essere circondato da nemici dai quali doversi difendere usando la bomba, strumento che incute paura ai paesi vicini e gli consente di sopravvivere all’interno.
Questo semplicismo non è adatto per comprendere e dare corpo ad una credibile e condivisibile strategia per la Siria, dove molti sponsor si nascondono dietro la nebbia della guerra. Trump ha operato una scelta politica senza ricercare i motivi dell’uso degli ordigni chimici e chi abbia potuto trarne vantaggio. Richiedere questa analisi non significa schierarsi con un dittatore e la dinastia che rappresenta. In effetti il proliferare di agenzie di news, spesso false, rende difficile l’accertamento dei fatti e l’Occidente è particolarmente sensibile a come sono morti i bambini siriani per questo tragico atto. Sono pronti a scandalizzarsi per le modalità delle uccisioni, mentre pongono scarsa attenzione alla carneficina fatta con le armi convenzionali da anni. Probabilmente nell’inconscio collettivo europeo persiste il senso di colpa perché è stata proprio l’Europa cento anni fa ad iniziare la guerra chimica.
In Siria, dove operano tutti soggetti vicendevolmente nemici, non esiste una strategia precisa in grado di approdare ad una credibile soluzione. La complessità è determinata dalla traumatica rottura di una situazione storica durata 12 secoli e che ha visto in azione un impero al cui interno frazioni tribali hanno sovente strumentalizzato le credenze religiose per accreditare opzione politiche e di potere. Dopo la prima guerra mondiale, Inglesi e Francesi hanno preteso di trovare la quadra tracciando confini rispondenti ai propri interessi coloniali senza considerare l’assurdità di delimitare in uno stesso stato, come nel caso della Siria, tre etnie e due fazioni islamiche da secoli rivali. Loro interesse è stato garantirsi una pace armata per sfruttare il territorio accettando la presenza del dittatore finanziato fin quando è risultato utile. Con la fine dei due blocchi e l’emergere della globalizzazione, la Siria è diventata la regione dove si combatte un tremendo conflitto con tante vittime all’interno per la guerra civile, l’interessata attenzione di Turchia, Iran, Arabia Saudita, alle quali si è affiancato Israele che ha l’interesse a sbalzare Assad per rivendicare definitivamente l’annessione delle alture del Golan, strategicamente importanti e con una considerevole presenza di coloni di orientamento laburista. Sono tutti ulteriori motivi di un contrasto tra soggetti impegnati a garantirsi lo status di potenza regionale dopo la confusione determinata dalla fine della guerra fredda, dalla distruzione dell’Iraq, dalle disillusioni delle primavere arabe. La Russia cerca di trovare spazio novello nell’area, mentre il roboante Trump annunzia la determinazione di imporre la sua prospettiva senza fare i conti con la condizione degli Stati Uniti, potenza globale obbligata ad operare con cautela e bloccata dai condizionamenti delle lobby interne.
Una ultima considerazione va fatta circa la legittimità del possesso della bomba atomica. Oggi cinque potenze ne rivendicano il monopolio perché strumento per esercitare una presenza più o meno convincente a livello globale. E’ tollerato il possesso di India e Pakistan, Israele smentisce di averla ma nessuno vi presta fede. Intanto si va verso un mondo multipolare. In termini militari sempre più attori per garantire credibilità alla propria presenza a livello regionale ne pretenderanno il possesso, ma un mondo multipolare può diventare multi-atomico e garantire una pace stabile, la fine della paura di un olocausto atomico e la possibilità di sperimentare un progresso liberante?
Le prospettiva non sono confortanti, ma almeno in questa settimana approssimiamoci, con la palma in mano, verso la Gerusalemme che accoglie Gesù, principe della pace.