Nera e la sua arte a Napoli: “È amore” e “Liberi in arte”.
Questi i titoli che hanno caratterizzato l’apertura e la chiusura della mia ultima mostra personale, svoltasi a Napoli, presso la Fondazione Giambattista Vico ubicata nella Chiesa di San Biagio dei Librai.
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Una performance a Napoli non può essere staccata dall’intreccio di vicoli o dalla cultura napoletana che, inevitabilmente, ti imbriglia nella sua magia e ti porta a vivere momenti indimenticabili. L’esposizione delle opere di Nera D’Auto a Napoli ha dato l’idea di essere fatta apposta per rappresentare la sua interiorità, che non dimentica le sensazioni, l’inconscio, la capacità di parlare con i sentimenti.
La partecipazione alla quotidianità della realtà napoletana ha significato anche credere che possa esistere una coralità pregna di momenti capaci di reinventarsi continuamente, dove niente è scontato e il miracolo della vita si trova dietro l’angolo.
Nera, con che occhi bisogna guardare la realtà napoletana?
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A guardare con occhi costruiti, tutto sembra fuori luogo, tutto appare fuori regola, ma basta l’immediatezza di un’espressione per ricordare che ogni attimo ha la sua unicità, ogni gesto è il frutto di un antico sapere che, senza rinnegare sé stesso, si rinnova alla luce di un nuovo giorno.
Qual è stato il tema della mostra?
“È l’amore, nel vuoto l’altro di noi”.
Qual è il colore dell’amore?
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Se il colore dell’amore ha una tonalità precisa, in questo caso il rosso invade la scena e irrompe con tutta la sua carica energetica per riversarsi sulle azioni del rappresentato e con esso mescolarsi al rito di una città d’amore.
E le lenzuola cosa c’entrano?
Lenzuola stese, hanno caratterizzato l’ingresso di San Biagio Maggiore, mio omaggio artistico a Napoli e gioco di luci. Questo mi ha permesso una fusione con la tradizione per ripetere i piccoli grandi gesti quotidiani che mirano a intrecciare storie e colori in un caleidoscopio cromatico, dato come momento di condivisione tra tradizione e modernità.
Ogni distesa di indumenti che taglia da una parte all’altra un vicolo parla di caratteristiche individuali, quasi per rendere partecipe lo spettatore di un vissuto che non ha bisogno di nascondersi, ma, piuttosto, di palesarsi agli sguardi dei passanti, incantati dalla teatralità continua di un popolo fiero in una terra dove il sole non si spegne mai. L’omaggio che ho voluto fare a Napoli e alla tradizione delle lenzuola stese ha riguardato le mamme napoletane e il gioco del pallone nella vita di tutti i giorni!
Indica un altro segno del tuo lavoro …
Un’altra delle mie caratteristiche, grande protagonista di questa esposizione, è stato “Il Vuoto” che, nel mio discorso pittorico, è dato da graffi e incisioni nel colore.
Ma il vuoto come si riempie?
Questo è presente in questa fase artistica con il suo bisogno di scavare nella materia per conoscerne la formazione, per andare a considerare quali, tra i possibili, infiniti momenti di divenire, ha la capacità di tradursi in forme materiali. Un vuoto che naturalmente si è palesato quando ho inserito la massa per dare significato al colore steso sul supporto. In questo caso il vuoto gioca sulle mie tele e tra i vicoli di questa città dai mille volti e dagli infiniti colori, si confonde con le infinite possibilità che si nascondono tra i ghirigori delle mie opere tra realtà e fantasia.
– A ben guardare, un solco profondo scavano quelle “capuzzelle” presenti al Cimitero delle Fontanelle a Santa Luciella, riportano storie di vite passate, ma anche linfa nuova e speranza; mentre, solchi profondi incidono la mia materia e cercano in altre realtà la vita. È anche un vuoto esistenziale tra l’interiorità dell’artista e la città; il nuovo che sifonde con una cultura antica e trova modo di essere attuale.
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Parliamo di “Liberi in arte”
La mostra a Napoli non ha prodotto solo scambi e considerazioni, infatti, c’è stata la possibilità di riflessione e analisi per ripensare un futuro migliore nelle carceri e tra chi ha affrontato tali costrizioni.
Fin dai primi momenti mi sono rapportata con dei giovani che desideravano, attraverso l’arte, trovare nuova vita lavorativa nella società. La dott.ssa Maria Coletta curatrice della mostra ma anche curatrice di corsi di reintegrazione per carcerati mi ha fatto conoscere questi detenuti in semilibertà e la loro voglia di apprendere le cose dell’arte.
Come hai vissuto l’incontro con i giovani detenuti?
Indipendentemente dalle motivazioni che hanno visto questi giovani conoscere la dura realtà di carceri sovraffollate e con scarsa possibilità di reintegrarsi, ciò che ho avuto modi di constatare è la loro grande voglia di vivere una vita lontana da ciò che può essere l’organizzazione in clan malavitosi.
Cosa dici dell’altra metà del sistema carcerario, quello che ha responsabilità di “rieducare”?
Tanti esponenti delle realtà carceraria e della sicurezza sono intervenuti per discutere su tale realtà e su possibili interventi di integrazione e miglioramento delle strutture; tante testimonianze da parte di questi uomini che, per la prima volta, dopo anni di detenzione carceraria si sono espressi con il sapore della libertà.
Cosa porti a “casa” da questa esperienza?
È stata una grande lezione di vita: dare attraverso l’arte e ricevere azioni da uomini la cui vita non è stata facile. Le loro espressioni sono state di meraviglia mentre il loro dare è stato di grande trasporto e desiderio di conoscere cose nuove, mentre ci parlavano di carceri sovraffollate dove non esiste l’uomo e ogni azione non ha valore per la sua qualità. Abbiamo lavorato fianco a fianco e sono stati partecipi della messa in opera di una mostra, mentre si parlava d’arte e dei significati contenuti in questa espressione con i possibili sviluppi.
Racconta come si è svolta l’esperienza …
A questo punto occorre dire che l’arte come libertà di ricerca interiore di ogni essere è stata la protagonista di un’esperienza forte e coinvolgente, base per un cambiamento che possa ripartire dalle origini e dalle caratteristiche individuali.
Cos’è per Nera?
Arte non vuol dire solo dedicarsi a quelle attività che sono elencate sotto questa “sigla”, ma anche cercarla in ogni cosa. È un momento di riscoperta e occasione di nuova fase creativa. È il caso di menzionare quel movimento “Fluxus”, nato a New York negli anni 60, con lo scopo di decontestualizzare gli oggetti e mostrarli come momento creativo senza un fine preciso: il fare, per la voglia di far venire fuori l’essenza dell’essere.
Ma come si fa?
Mi rendo conto che non è facile cercare sé stessi quando le necessità familiari riportano i bisogni di tutti i giorni e si ha da pagare un debito in una società non sempre equa nel distribuire. Ma l’arte rende liberi, capaci di cercare dentro l’essere quelle caratteristiche che ci rendono unici e simili a Dio!
Chi ha facilitato tutto ciò?
Un ringraziamento per il Presidente Emerito della Fondazione Giambattista Vico il Prof. Vincenzo Pepe e per il Presidente attuale dott. Luigi Maria Pepe.