di Monica Acito
Post punk, Joy Division, Afterhours, Lou Reed, Demetrio Stratos, eterno ritorno nietzschiano (o forse no). Quella con Giorgio Ciccarelli non è stata solo un’intervista, ma una chiacchierata alla scoperta del suo mondo, che non si ferma soltanto alla band di Manuel Agnelli, ma ha molte variegature differenti e contrastanti, che affondano le radici in tanti nomi e sfaccettature di musica che hanno plasmato la sua esperienza in modo unico. Il nome di Giorgio Ciccarelli non è legato soltanto agli Afterhours, di cui è stato chitarrista dal 2001 al 2014, ma è anche saldamente allacciato a una miriade di altri progetti. Dal teatro Ariston di Sanremo al Primo Maggio a Roma, passando per il Leoncavallo di Milano, Ciccarelli si è esibito praticamente in tutta la penisola. Tra il 1998 e il 2005 registra quattro albumi con i Sux!,band da lui formata, e dopo l’uscita dagli Afterhours la sua attività musicale corre su due binari paralleli, dedicandosi alla carriera solista in toto, con l’album “Le cose cambiano” del 2015, che vede anche la collaborazione de fumettista Tito Faraci (uno dei primi autori italiani ad aver scritto per la statunitense Marvel Comics),e al ritorno alla sua band delle origini, i Colour Moves, con cui pubblica l’album d’esordio “A Loose End”.
Ciccarelli approda anche in Cilento:si esibirà a Vallo della Lucania al Draft beer and food, e per l’occasione abbiamo deciso di esplorare i contorni del suo universo poliedrico come un caleidoscopio.
Iniziamo dal brodo primordiale. Con la tua prima band, i Colour Moves, hai avuto un rapporto incentrato sull’eterno ritorno nietzschiano. Sei tornato a suonare con loro incidendo un album nel 2015,”A Loose End”, che riecheggia una sorta di post punk ossessivo, quasi oscuro e abissale. Verrebbe quasi da pensare ai chiaroscuri della musica di Giovanni Lindo Ferretti, dei CCCP e dei CSI. C’è stato un rapporto dialettico di tensione, imitatio o emulatio all’interno della scena post punk dell’epoca? Che ricordi, botte alla pancia e sussulti conservi di allora? Non vorrei tediare i tuoi lettori con la mia personale visione del periodo che ho vissuto musicalmente a Milano negli anni ’80, certo è che con i Colour Moves ci distaccavamo parecchio dalla scena che andava per la maggiore allora, sicuramente eravamo lontani dal post punk ossessivo, quasi oscuro e abissale e lontanissimi della musica di Giovanni Lindo Ferretti e dei CCCP. Noi ascoltavamo e ci rifacevamo a certa scena, sì post punk, rappresentata dai Joy division, ma buttavamo più di un occhio ai vari Julian Cope, Teardrop Explods, Echo & the bunnymen e Smiths, insomma un post punk con forti venature pop psichedeliche. Sì, è indubbiamente interessante il concetto dell’eterno ritorno dell’eguale di Nietzsche applicato ai Colour Moves, però noi l’abbiamo vissuto semplicemente come il reincontro di vecchi amici che hanno deciso di concludere una “questione in sospeso” lasciata a macerare per trent’anni…
Nella musica dei Colour Moves ci sono quelle venature nere che si riallacciano agli Smiths, ai Cure, ai Joy Division, e quella distorsione psichedelica che strizza l’occhio ai Velvet Underground (si ricordi la cover di Venus in Furs) e ai Doors. Svelaci cosa ti è passato per la testa quando hai deciso di mettere d’accordo Ian Curtis, Lou Reed e Jim Morrison,e quanto devi a loro.
Per la testa mi e ci passava solo l’inconsapevolezza e l’ingenuità dei 19enni e ci accumunava la passione smisurata per la musica e l’ascolto ossessivo di tutte le band che hai appena citato. Sicuramente non è stata un’operazione consapevole il mettere d’accordo Ian Curtis, Lou Reed e Jim Morrison, ma se ci siamo riusciti (e non sta certo a me dirlo), ne sono veramente orgoglioso.
Hai fondato anche i Sux!, che è stato definito uno dei gruppi rock più originali. Per te cosa è l’originalità nella scena underground odierna? Segnalaci qualche gruppo che valga la pena ascoltare senza rischiare la catalessi Non mi pare esista una scena underground in Italia o almeno a me non è pervenuta. Esiste invece un sacco di gente che fa musica, alcuni la fanno bene altri male, l’originalità, di per sé, non esiste o almeno, è parecchio soggettiva. Diciamo che apprezzo chi cerca una sua via espressiva e riesce ad essere in qualche modo personale e che soprattutto abbia qualcosa da dire. Ecco forse questo è il mio concetto di originalità. Al momento non mi viene in mente nessuno da segnalarti, ma è solo perché frequento poco l’”ambiente”…
Eccoci alla parte più prevedibile dell’intervista, quella che riguarda la tua esperienza di chitarrista con gli Afterhours. Non ti chiederò come è Manuel Agnelli dal vivo, ma mi piacerebbe chiederti a quali brani degli album “Siam tre piccoli porcellini” e “Padania” sei più legato. E cosa ti ha lasciato questa esperienza. Per ora quella esperienza mi ha lasciato un grande amaro in bocca per come si è conclusa e quell’amaro non mi permette di rispondere con serenità e lucidità alla tua domanda, magari possiamo riprovarci tra qualche anno.
Nel brano dell’album degli Afterhours “La sinfonia dei topi”, il testo recita “Voglio vivere nel sole con il mio miglior vestito”. Qual è il vestito migliore col quale sei riuscito (musicalmente) a vivere nel sole? Non esiste il vestito migliore, in tutte le esperienze che ho vissuto, in tutti i gruppi in cui ho suonato, ho messo anima e cuore, passione e amore, indipendentemente dal riscontro del pubblico; dal primo disco coi Colour Moves nel 1986 a “Le cose cambiano” del 2015, passando per i Sux!, i Maciunas, gli Afterhours, i Sundowner, i Carnival of fools e per tutte le collaborazioni che ho fatto.
Hai partecipato anche alla riedizione di “Hai paura del buio?”, album considerato una vera e propria pietra miliare del rock italiano. Quanto deve la scena italiana agli Afterhours? Avendo suonato per 15 anni negli Afterhours, non sono la persona più adatta per rispondere a questa domanda. Al massimo ti posso dire che, se la “scena italiana” deve qualcosa agli After, sono contento perché significa che abbiamo fatto qualcosa di buono in questi anni.
Nel film “Lavorare con lentezza” gli Afterhours hanno interpretato gli Area. Perché secondo te in Italia nessuno sa chi è Demetrio Stratos? Perché al 97% degli italiani della qualità nella musica non importa nulla, ma non è propriamente una colpa, è più una questione di assenza di cultura. Nessuno ti insegna a cercare, né tantomeno a trovare la qualità nella musica; a scuola, se va bene, ti insegnano a suonare jingle bells col flauto dolce e spessissimo l’insegnante che occupa l’ora di musica è quello di Italiano. E’ come pretendere dal popolo Tuareg di conoscere Dino Buzzati, Primo Levi o Pasolini, se nessuno ti accompagna verso la bellezza e t’insegna a riconoscerla non la puoi trovare a meno di avere e coltivare una grande passione che ti porta verso essa.
Parlaci dei tuoi progetti futuri. Prima di parlarti dei progetti futuri, ti parlo dei progetti presenti, visto che fino ad ora mi hai chiesto solo del mio passato e/o passato remoto. Ho fatto un disco a mio nome uscito nel novembre del 2015, “Le cose Cambiano” scritto a quattro mani con Tito Faraci, uno dei più ricercati sceneggiatori di fumetti in Italia, nonché autore di romanzi. Allegato al disco si può trovare un libretto di illustrazioni/fumetti disegnati da gente del calibro di Giorgio Cavanazzano, Silvia Ziche, Paolo Bacilieri, Alessandro Baronciani e tanti altri che mi sto dimenticando e che sono attualmente alcuni tra i più conosciuti disegnatori italiani. Ad ogni artista visivo è stato dato un brano che ha “tradotto” in immagine, contribuendo alla riuscita del progetto “Le cose cambiano”. Parlo di progetto, perché questo disco va oltre la musica che è in esso contenuta, ho cercato di mettere sullo stesso piano canzoni ed arte visiva ed il risultato m’inorgoglisce parecchio. È da novembre del 2015 che sto portando in giro il live di “Le cose cambiano”, prima con la band, facendo una cinquantina di concerti in tutta Italia, ora in duo, col nuovo tour “Più vicino”, che presenterò al Draft di Vallo della Lucania questo giovedì e che sarà il primo di una lunga serie e che mi terrà in ballo fino a quest’estate, dopodiché, spero di potermi concentrare sul disco nuovo e farlo uscire per l’autunno del 2017.