« Dopo la foce del Sele, la Lucania e il santuario di Hera Argiva, fondazione di Giasone e vicino, cinquanta stadi, a Poseidonia…». Il geografo greco Strabone (circa 60 a.C.-20 d.C.), descrivendo la Lucania, accenna in tal senso al santuario di Hera presso la foce del Sele. Più preciso è il racconto di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.): «… dal territorio di Sorrento e fino al fiume Sele si estende per trenta miglia il territorio picentino, un tempo appartenente agli Etruschi, famoso per il tempio di Giunone Argiva, costruito da Giasone…». Il tempio di Hera Argiva era dunque noto agli antichi studiosi, addirittura ne riportano la leggendaria fondazione ad opera di Giasone, capo della spedizione degli Argonauti alla conquista del vello d’oro. Secondo gli studiosi il Santuario venne edificato nel VI sec. a.C. dai greci provenienti da Sibari, in onore di Hera, protettrice della navigazione e della fertilità. Della sopravvivenza del Santuario si ha certezza fino al II sec. a. C., finché non decadde a seguito anche dell’impaludamento della zona. Tra il 1934 e il 1940 venne portato alla luce da una campagna di scavo condotta da Paola Zancani Montuoro e Umberto Zanotti Bianco. Nel 2001 veniva inaugurato il Museo Narrante del Santuario di Hera Argiva alla foce del Sele. Allestito in una casa colonica costruita dell’Ente di Bonifica di Paestum intorno agli anni ‘30, la Masseria “Procurali”, all’epoca utilizzato proprio come deposito dei reperti scoperti dagli archeologi Zancani Montuoro e Zanotti Bianco. Il progetto intendeva porsi all’interno di un più ampio intervento di valorizzazione dell’Area Archeologica, dando appunto la giusta dignità alla storia del Santuario di Hera Argiva (VI sec. a. C.).
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Il Museo offriva un percorso che garantiva di esplicare al meglio il legame che il territorio aveva con il culto della dea, delineando tutte le trasformazione che il sto ha subito nel corso del tempo. Le sale erano dotate di video proiettore, schermi, filmati, foto e disegni a strumento di conoscenza per i visitatori, il sito archeologico si poteva ammirare attraverso un cubo nero con quattro vedute di ricostruzione tridimensionali dell’area. Protagonista assoluta era la Sala delle Metope. Trentasei metope arcaiche istallate a mezz’aria ad altezze diverse, con accanto un videoproiettore la cui narrazione interagiva con le luci che illuminavano a gruppi le metope. Ricostruzioni tridimensionali, videoistallazioni, effetti sonori e pannelli illustrativi, il museo era stato creato per creare un legame tra la storia e il visitatore attraverso i sensi ma anche l’appartenenza territoriale. Se il tempio ha dovuto giacere sempre più sotto la palude alla foce del Sele, stessa sorte è toccata al Museo Narrante, che in quasi vent’anni è stato quasi sempre chiuso al pubblico. Più volte le esondazioni del Sele lo hanno allagato e reso inaccessibile. Ma il Museo era bello, funzionale e all’avanguardia, aveva dato una nuova luce alle sponde assolate del Sele e a quelle fondamenta antiche che per anni erano state abbandonate. Il museo al momento è chiuso. Chi l’ha visitato, lo ha amato.