di Monica Acito Il Museo della Civiltà Contadina di Felitto, ubicato nel cuore del centro storico, da tempo non fa più parlare di sé, né negativamente né positivamente. Ci tocca riesumarlo per cercare di districare quei fili che appaiono alquanto ingarbugliati e tentare di capire quale potrebbe essere il destino di questo tempio agreste che custodisce le testimonianze della cultura di una comunità che ha il sacrificio e l’agricoltura incarnati nel proprio codice genetico e nella propria storia. Potrebbe esserci una speranza o, al contrario, anche questa questione finirà sepolta dalla stessa polvere che ricopre i cimeli arcaici che riempiono il museo? Ma veniamo al dunque: il museo è gestito da un’associazione denominata appunto “Il Museo”, e a tal proposito abbiamo contattato uno dei membri, Raffaella Ventre, per tentare di carpire qualche informazione riguardo la gestione, le visite e gli incassi. La signora Ventre ci spiega che grandi incassi non è che ce ne siano: non è che tale museo attiri pecunia sonante o introiti particolari, giacché funziona soltanto se qualche turista curioso o volenteroso si prende la briga di ordinare una visita su prenotazione, colto da un’improvvisa voglia di addentrarsi nel mondo bucolico felittese, come un novello Titiro o Melibeo virgiliano. Quindi quando capita e occasionalmente. I fondi? Scarseggiano, come puntualizza la Signora Ventre, poiché l’amministrazione comunale sembra mostrare davvero poco interesse. Le offerte? Bisognerebbe aspettare che quello stesso turista volenteroso, colto da un’improvvisa voglia bucolica felittese, venga colto anche da un’improvvisa smania di elargire offerte, poiché dato che fondi non ce ne sono, si spera almeno nella “gentilezza degli sconosciuti” (scomodando anche Tennessee Williams). I membri dell’associazione “Il Museo”? La signora Ventre ci spiega che sono risucchiati da altre attività che tolgono tempo alla cura del patrimonio bucolico. Non ci resta che sperare che un po’ di spirito virgiliano si diffonda nelle menti di tutti, trasformando l’inoperosità e l’otium in voglia di fare, o meglio ancora, che una scintilla di Labor cancelli quella negligenza diffusa che impedisce alle nuove generazioni di godere del passato dei propri avi contadini e dediti all’aratro. Perché anche Catullo lo diceva: “otium et reges prius et beatas perdidit urbes”.
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