di L.R.
Domenica scorsa la Chiesa ci ha invitato a partecipare alla gioia per la venuta del Salvatore. L’annuncio s’identifica con la nuova vita offerta da Cristo al suo popolo di piccole ed umili persone, motivo per rinfrancare i cuori. Questa esperienza non è annunciata da illusioni apocalittiche o prospettive trionfali; Cristo si propone ai poveri, motivo di scandalo per sapienti e potenti. Il modello è Giovanni Battista, messaggero che prepara la via, emblema della giustizia e della rettitudine di un uomo che non è stato mai una labile canna al vento, ma ha dimostrato di essere una quercia di fronte a qualsiasi situazione. Il riferimento al Precursore deve infondere coraggio all’uomo sfiduciato e deluso, agli apatici e frastornati da modalità di vita confuse, che disorientano e non aiutano ad incontrare il Signore. Dio comunque ci conosce personalmente, motivo per cui possiamo iniziare a cantare e parlare di gioia, pronti a sperimentare un nuovo esodo per uscire dal nostro egoismo, che ci fa sentire degli esiliati in questo mondo segnato dall’ingiustizia, consapevolezza dalla quale deve sgorgare una corale disponibilità al rinnovamento.
Per apprezzare tutto ciò è saggio praticare la pazienza, sapiente modo di vivere di chi con fiducia sa attendere che quanto ha seminato porti frutto. Tutti ne possono beneficiare, anche coloro che sono nell’angustia per le sofferenze materiali e nell’ambascia per l’aridità del proprio spirito, imitando appunto Giovanni. In lui notiamo un duplice orientamento circa Gesù: quando opera nella regione del Giordano annunzia la sua venuta, lo battezza su sua richiesta; ma in carcere probabilmente è preso da sconcerto. Lo ha presentato come colui che sarebbe venuto a mettere la scure alla radice dell’albero, il Messia che avrebbe messo ordine e ristabilito la giustizia; ma è in catene, mentre Erode continua ad angariare il popolo. Ecco perché invia i suoi discepoli per porre a Gesù una assillante domanda: Sei tu quello che il mondo attende?
I dubbi di Giovanni non determinano la perdita di stima nei suoi confronti. Gesù è consapevole che non esiste fede senza dubbi. L’uomo crede e dubita, mentre Dio continua a volergli bene.
La risposta di Gesù al quesito posto non costituisce un argomentato elenco di riflessioni dogmatiche, egli si limita ad elencare dei fatti: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono. Dove Egli passa ed opera la vita cambia. Tutto il Vangelo è un minuzioso elenco d’incontri che generano gioia, coraggio, fiducia, apertura del cuore, generosità, bellezza di vivere perché Gesù è colui che deve venire.
Lo scettico potrebbe obiettare: ma i fatti elencati non hanno cambiato il mondo.
È vero. Ma nessuno può negare che comunque sono sufficienti per ritenere che il mondo non è inguaribile.
Gesù ha promesso il miracolo del seme, un lavoro oscuro ma inarrestabile, fatto con pazienza nella consapevolezza che Egli non ha fornito pane già pronto per sfamarci, ma lievito per farlo fermentare. Da qui la sollecitazione ad avere fede evidenziandone le due connesse caratteristiche: occhi capaci di scorgere il sogno di Dio per l’umanità e mani operose per collaborare alla sua realizzazione.
Queste indicazioni pongono a tutti noi un interrogativo di estrema attualità osservando la vicenda umana, il moltiplicarsi delle situazioni d’ingiustizia e il radicarsi della sofferenza per l’egoismo di tanti.
Dio non è d’accordo. Lo si desume dalla risposta di Gesù agli inviati di Giovanni. Il riferimento al passo di Isaia, con quale fa chiarezza nell’animo del Battista, evoca l’azione caritatevole del mondare i lebbrosi e prendersi cura di tutti i bisognosi. È la missione del Messia, la cui presenza s’inserisce prepotentemente in ogni dramma umano per sanare chi è prostrato dalla sofferenza fisica, dal dolore morale, dall’egoismo del ricco, dalle offese del superbo, dai soprusi del prepotente. Egli annuncia la Buona Novella: viene per chi è marginalizzato, uomini e donne colpiti dalla malattia nel fisico, ma anche chi, distratto dall’effimero quotidiano, non sente la sua parola e precipita in una immobilità che impedisce di entrare nella prospettiva della vita nuova per mancanza di fiducia.
Il primo miracolo di Gesù è costituito dalla fede in Cristo; ancora oggi ci sono uomini e donne che cessano di essere ciechi, zoppi, sordi e morti per la fede in “Colui che deve venire”. Ecco perché sono beati. Gesù, che loda il Battista, alla fine afferma che il più piccolo nel Regno dei cieli, vale a dire colui che è capace di affidarsi e matura una serena sicurezza nel rapporto con Dio, si rivela più grande. Ecco perché con gioia e vigilanti siamo invitati a prestare attenzione a Colui che deve venire.