Caio Julio «In realtà, mia cara, da quando sono qui, mi sento così lontano dagli intrighi e dai pettegolezzi, che anche il sentirli fa nascere in me soltanto una tranquilla, ironica comprensione»
Licia «E ti credo. Sono abbagliata da questa luce. In verità il viaggio in questo ultimo tratto è piuttosto faticoso, ma appena salita sulla barca che mi hai inviato a Marcina e scostatasi che fu dalla riva, mi sono sentita qualcosa sotto la pelle. Forse il tepore del sole, o il mare, o questo panorama così incredibile…»
Nel silenzio sotterraneo di sale affrescate e volte a vela, calidarium, frigidarium e corridoi che sembrano scavati nella roccia, le voci del dialogo, piacevole ad ascoltarsi, sono dalla fantasia evocate da un lontano, fulgido passato quando su questa costa divina soggiornavano i romani, che in fatto di otium erano maestri sia per la scelta dei luoghi, che per la costruzione delle ville, come quella di Minori, scoperta nel 1932. D’altra parte la loro presenza in questa parte della Campania felix è avvalorata dalle numerose urne cinerarie scolpite con motivi ornamentali, ritrovate ed esistenti un po’ ovunque in Costiera Amalfitana.
A Minori due preziose di quelle urne sono incastrate nei primi pilastri della chiesa di S. Gennaro e S. Giuliano a Villamena, ove fungono da acquasantiere. Le chiese, antiche e nobili, sono una delle componenti essenziali di Minori. Per accertarsene basta una visita a S. Giovanni Battista del Piezulo edificata nel 1420, a quella di S. Lucia in località “alla Fiumara”, costruita nel decimo secolo con l’annesso convento benedettino e infine alla citata altura di Villamena quella della Madonna delle Grazie oggi detta di S. Maria del Rosario.
Forse per questa religiosità sentita, il popolo minorese fu premiato dal Cielo. Narrano, infatti, le cronache che una serena mattina di primavera alcuni pescatori di Minori, recandosi alla spiaggia per accudire alle reti, scorsero alla foce del piccolo fiume Reginna Minor, un’urna marmorea. Pochi attimi di stupore e poi – si sa come vanno le cose nei paesi – la voce si sparse subito e sul posto si radunò l’intera popolazione, curato in testa. Resisi conto che trattavasi di qualcosa di prezioso, decisero di trasportare l’urna nella chiesa, ma a nulla valsero gli sforzi di alcuni baldi e nerboruti giovanotti. Il parroco, saggiamente, ritenne quindi di dover avvertire il Vescovo di Amalfi, Pietro. Questi, ascoltato il racconto del sacerdote, rispose che la notte aveva avuto un sogno durante il quale una voce gli diceva: «se vuoi trasportare quell’urna, prendi delle vitelle che non hanno mai visto il giogo e che sono le più belle, simbolo della verginità di Trofimena del cui corpo ci fa dono il Signore; legale a quell’urna benedetta, perché solo così riuscirai nel pio desiderio di rimuoverla dal suo posto». Così fu fatto e l’urna fu trasportata nella chiesa madre di Minori. Una permanenza non certo tranquilla, visto che nell’inverno dell’838/39 delle reliquie si impadronì il principe Sicardo che le trasportò a Benevento, per togliere ad Amalfi la protezione della Santa. Ma vi restarono poco, perché l’anno successivo un’ambasceria di Amalfi ne ottenne la restituzione se pure in parte.
«Narrano le cronache – scrive Ulrich Schwarz (54) – che l’undici luglio navi amalfitane presero in consegna a Salerno i resti della Santa Trofimena e li portarono a Minori». E per questa conservazione delle reliquie Minori fu elevata a sede vescovile nel 987 da Papa Giovanni IV.
Le vicende vescovili segnalano che il secondo vescovo di Minori, Sergio, fu arrestato da Guaimaro IV di Salerno, il quale si impadronì di tutti i beni del prelato. Ma questi fu liberato dalla prigionia a «prezzo di moneta» pagata dal popolo.
Famosa per l’arsenale e il cantiere delle galere, Minori fu rivale “turistica” di Amalfi «per la sua pittoresca situazione, la sua spiaggia, le sue industrie, i suoi aranci». Qui i Dogi della Repubblica vi soggiornarono spesso e alcuni sono sepolti nella Cattedrale di Santa Trofimena.
La cronaca di un anonimo reporter riferisce che «un tempo Minori avea per industrie il bianchimento delle tele, la concia delle pelli, un gran smercio di carni salate di maiale ed al presente offre carta da scrivere e paste lavorate, che hanno il primato su tutte le altre paste confezionate in questa Costiera».
La pasta artigianale, infatti, è stata per lungo tempo un grosso vanto, oltre che un importante settore dell’economia minorese.
In un articolo degli anni ottanta, Luca Vespoli scriveva: «Ricorderò sempre quel primo passaggio per Minori dove sul marciapiede che divideva la spiaggia dalla strada, su tanti paletti erano stesi nastrini bianchi, almeno così mi sembrarono, che davano una incredibile iridescenza all’insieme. E prima che potessi piazzare la mia domanda su cosa fossero quei tanti, indecifrabili pendagli appesi, l’autista della Balilla mi precedette rivolgendosi a mia nonna che mi accompagnava “Ve facisseve na magnata, ne Donna Angiulì?”. Capii che era la pasta alimentare fatta in casa, in maniera artigianale e messa ad asciugare al sole prima di impacchettarla in quella carta “azzurresca” che ancora oggi si ostinano a chiamare carta da zucchero».
E della «’ncartata» di maccheroni di Minori era decisamente grande estimatore – e consumatore – Eduardo De Filippo, che se la faceva arrivare sul suo isolotto di Isca.
Ma da questo alimento furono conquistati anche i grandi viaggiatori europei che negli anni del Grand Tour giunsero in Costiera, facendo una inevitabile puntatita a Minori.
Sono il nobile inglese Henry Swinburne, il pittore Karl Blechen, lo scrittore inglese Augustus Hare, che scopre e scrive della pasta di Minori, e il poeta danese Hans C. Andersen che il 5 marzo 1834 scriveva: «Dopo mangiato andammo a Minori e Maiori, che sono molto vicine. Grandi aloe sono cresciute sulle rocce. Bambini, solo con le camicie, giocavano sulla spiaggia. Incontrammo una folla orribile di sacerdoti, vedemmo la nostra guida e tutti i bambini inginocchiarsi quando passò il vescovo».
E qualche anno più tardi, nel 1861, Ferdinando Gregorovius scriveva: «Le spiagge di Minori e di Maiori sono quanto c’è di più ridente in questo golfo, da Salerno ad Amalfi e Sorrento, ed io non esito a dichiarare che superano in bellezza la stessa spiaggia di Sorrento, a costo di essere tacciato di un’eresia. Sono due punti di una magica tranquillità, ristretti in breve spazio, freschi, ombreggiati e ridenti: si direbbe appartati da tutto il resto del mondo. Non ho veduto luoghi più graziosi… Poco dopo ci trovammo mezzo addormentati in un caffè del vicino borgo di Minori. Quivi le case sono piccole e basse quanto quelle di Pompei e le stanze così piccole che appena possono contenere quattro persone. Alla tavola della locanda il padrone ci girava attorno con un ventaglio in mano smuovendo l’aria, cacciando le mosche e narrando nel suo dialetto una quantità di storie, parlando soprattutto della fabbricazione dei maccheroni, industria speciale della riviera di Amalfi, la quale ne provvede tutto il Regno di Napoli».
La pasta di Minori aveva un gusto particolare, forse perché durante l’asciugatura si impadroniva del sapore del vicino mare e rubava all’aria il profumo dei limoni che empivano, e ancor più oggi, i circostanti crinali dei Lattari. Sino a 50 anni fa la rada di Minori era piena di vascelli che portavano i profumati agrumi direttamente sulla tavola reale britannica.
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Su per i macèri file interminabili di minoresi, da sempre, hanno percorso le strette, infinite scale di roccia tagliata, portando con le gerle a spalla giù i limoni e su la terra e le pietre per i nuovi macèri. La stessa gente che nel dì di festa faceva ala al passaggio della processione sulla strada marina rutilante di luminarie carpite dal pennello dei “pittori costaioli”. «Era il 1922, mentre Salerno era attraversata dalla irriverente ondata futurista sulla spiaggia di Minori giungeva Antonio Mancini, a quell’epoca all’apice della notorietà, seguita alla grande mostra veneziana del 1921: Mancini soggiorna l’intera estate, eseguendo alcuni dipinti raffiguranti la spiaggia e la scogliera che la racchiude…».
In zona più tranquilla e appartata dal centro di Minori prendeva casa Mario Carotenuto, tramontino, attirato “a valle” dal richiamo delle sirene della costa.
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Nel 1980 il pittore Antonio Porpora esegue la grande tela dal titolo “Cari saluti da Minori”; per l’artista “non è un ritorno, ma una proiezione della memoria”, una cartolina spedita ad un ignoto destinatario.
Quattro barche sonnacchiose tirate a secco, sbirciano, con annoiata indifferenza, le donne chine a stendere sulle stuoie spase sulla sabbia, gli spagnetti ad asciugare al tiepido sole di primavera. Poco oltre, la strada è silenziosa e s’ode solo ogni tanto il ticchettio di zoccoli: sono pescatori o pastai che trafficano ai bordi della spiaggia ancora ignota alla folla dei bagnanti. La vita della città, quella delle botteghe e dei mercati, è tutta all’interno, lontana dagli sguardi anche del probabile viaggiatore curioso che quivi transita.
Scene, queste, di inizio secolo, quando a Minori anche l’aria profumava solo di limoni, maccheroni e salsedine. La cartolina, ristampata, è in bella mostra in un espositore per turisti, collocato all’ingresso della Villa Romana, appena lasciata alle spalle con le sue voci antiche:
Caio Julio «Licia, prova questo vino che mi faccio portare direttamente dai colli circostanti e dai quali si ammira la fertile piana dei Sarrastri».
Licia «Ma questo è nettare degli dèi».
Caio Julio «Bevuto al buio è ancor più delizioso…»