di Bartolo Scandizzo
Meglio isolati e bistrattati alla luce del sole che costretti a vivere con il viso nascosto dietro ad un velo o, peggio ancora, schiavizzati! Questa in sintesi il racconto di un immigrato che si è ritrovato a vivere in un comune di 250 abitanti tra il Piemonte e la Valle d’Aosta.
Di comuni e piccoli borghi così ce ne sono molti nell’area compresa nel perimetro del Parco Nazionale del Cilento, Diano e Alburni. Il più contento è il sindaco del piccolo paese che in poco tempo ha potuto registrare ben cinque bambini all’anagrafe del comune e accoglierne altrettanti tra i banchi delle scuole che hanno ripreso a vivere.
In fondo, anche per le nostre realtà fatte di case “sgarrupate” e abbandonate prima dai migranti che nel 20° secolo che hanno preso il mare verso le Americhe e l’Australia, e poi dai residenti che hanno preferito vivere in comode (ma non belle) palazzine impilate lungo le strade che collegavano tra loro i borghi antichi, corrono verso un destino di estinzione.
Al di là di ogni legittima richiesta di sistemazione delle strade, di incentivazione delle poche attività agricole e della creazione di piccoli agriturismi e adeguamento di case storiche a B&B, quello che manca è l’anima di gente che ha voglia di investire sul futuro aiutando i giovani a crearsi una famiglia che dia speranza di vita che si rigenera.
Assodato che sono in tanti che se ne vanno perché, come è successo alle generazione dei nati del dopo guerra, voglio scoprire il mondo e realizzare un progetto di vita fatto di istruzione da spendere in ambienti che valorizzino le professionalità acquisite, resta il problema che le nostre realtà non sono attrattive. Non lo sono nemmeno per chi, come accade già in altre realtà simili, vuole insediarsi in piccoli borghi per svernare la propria terza e quarta età. Come potrebbe essere diversamente se il patrimonio abitativo è cadente e le persone che vi vivono sono poco avvezze a svolgere mansioni di assistenza e di servizio alla persona che garantiscano un livello di qualità della vita adeguato agli ospiti.
Ecco perché è necessario investire nell’accoglienza intesa in senso lato. Si tratta di assumere in prima persona da parte delle istituzioni iniziative che facciano di “necessità virtù” accogliendo famiglie di migranti garantendo loro un alloggio, la formazione in campo lavorativo (micro – agricoltura, assistenza alle persone, piccolo artigianato e servizi turistici), la scuola per i minori e informazioni sul territorio.
Le risorse, per fortuna ci sono e sono sufficienti per evitare che gli ospiti, futuri cittadini, siano un peso per la comunità. Anzi, le risorse loro destinate sarebbero interamente spese nel paese dando un po’ di respiro ai pochi negozi ancora in piedi.
Ma il vero progetto di base sarebbe quello di mettere mano agli interventi di messa in sicurezza e ristrutturazione dell’immenso patrimonio abitativo che sta, inesorabilmente, decadendo nell’oblio di chi lo ha lasciato e nell’insipienza di chi è rimasto. Certo non è facile, ma sarà ancora più difficile farlo fra 10 anni ed oltre.
Come, quando e con quali risorse intervenire dovrebbe essere il campo di gioco su cui misurare le capacità della classe dirigente del nostro territorio. Chi ha ambizioni di governo deve almeno essere consapevole di quali sono i problemi di fondo senza l’avvio della loro risoluzione ogni altro, se pur lodevole, progetto è destinato a perire insieme al paese della porta accanto!