Arte nomade, che rifugge la fissità e si dissemina, si irradia dal suo centro in un proliferare instancabile quella dell’irpino Domenico De Rubeis, la sua è dinamica e fruttuosa erranza che lo induce ad espandere gli orizzonti dalla pittura alla fotografia, dalla tradizione della tela alle performances di paintings live fino alle installazioni; un transito ancor breve ma tanto denso di esperienze che dal passato delle avanguardie si protendono alla ricerca di nuovi linguaggi visivi.
Da una” oppressione dell’anima” si origina il suo approdo alla creatività che diventa strumento di liberazione dall’inquietudine del contemporaneo.”L’artista- è lui stesso a dirlo- non si costruisce, non diventa, non si loda e non si omologa”. Resta fuori cioè dalle logiche sociali del conformismo bieco, dell’ appiattimento acritico già in atto coi mass media negli anni sessanta, reso più veloce anzi frenetico dai nuovi mezzi tecnologici di comunicazione, diffusi come capillari che avvolgono le nostre affaticate menti . L’artista esiste per sempre, non muore mai se è in grado di comunicare messaggi universali.
E così De Rubeis si lascia attraversare dal mondo parallelo dei surrealisti, dall’ironia dissacrante della pop art, dal dinamismo dei futuristi come anche dal minimalismo, e dall’astrattismo cromatico alla Kandinsky. Non si ferma all’epidermide della realtà,ma vuole andare oltre, non gli bastano i semplici paesaggi o i ritratti che duplichino i volti e il mondo passivamente. Non gli basta una buona e perfetta tecnica che lo conduca ad un vuoto virtuosismo ma ha urgenza di liberare le voci della sua interiorità , le sensazioni provenienti dal mondo esterno , vuole cogliere il suo tempo, riprodurre la sua contemporaneità, i suoi problemi, le sue ingiustizie, assorbirne le angosce per poi sublimarle nella ciclica armonia dell’arte.
Il suo non è solo un cammino didattico che passa attraverso istituti ed accademie ma è soprattutto esperienza immediata. E’coraggioso volontariato nelle periferie di Lima, è vita forte e dura,fra la genti peruviane. Culture e modi di vivere remoti che gli hanno fatto apprendere nuove latitudini, emergere sconosciute emozioni. Il Perù riaffiora tutto nella passionalità del suo cromatismo dalle gamme plurali e tonalità intense. Ma la sua arte è in un costante evolversi ,non si ferma, insegue ancora alacremente altre tecniche, altri materiali, altre forme: interagisce con la tela stessa con i ritagli e le sovrapposizioni. E ricorre allora al velo come nascondimento, copertura della superficie dipinta, come elemento essenziale di ulteriore sperimentazione. Dapprima il nudo manifestarsi del colore e del sentire che si capovolge nel suo contrario, nel ritrarsi, nel rifuggire l’incomprensione ma non la fruizione. Anche perché non c’è un significato univoco da capire o da spiegare razionalmente c’è solo da tacere e percepire l’energia che vibra dall’opera verso lo sguardo.
Gabriella Taddeo