“A ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” è una frase resa celebre da Karl Marx con la quale – riferendosi al superamento “giuridico” della classe borghese – alludeva al raggiungimento del modello di società “ideale” connessa e fondata su elementi di uguaglianza e giustizia sociale, al bisogno primario della vita: il lavoro. Un fascinoso e sognante prospetto, lontano anni luce per l’ovvio contrasto al gergo complesso dell’era contemporanea che, sotto l’effetto allucinogeno delle politiche neoliberiste e globaliste, appare non solo distante, ma di utopica e debole efficacia. A parte la considerazione critica, spesso consolidata in aspetti marginali puramente di parte o da logiche di appartenenza politica è cosa risaputa che, gli studi del filosofo tedesco abbiano tracciato dei corsi importanti per la storia socio-politica di buona parte dell’800 e del ‘900, fissando alcuni canoni a ridosso della prima e seconda rivoluzione industriale, opposti al potere delle classi dominanti o nel tentativo ancor più arduo affermatosi in Russia – 1917/1922 – al seguito della “rivoluzione d’ottobre” che, comportò prima il rovesciamento dell’impero russo e poi all’instaurazione dei Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. Escludendo un’ampia esegesi dell’opera di Marx, nel contraddistinguerne o meno – oggi – caratteri di evidente anacronismo o il resoconto che, nel bene o nel male, abbiano delineato in modo empirico le sorti della storia, ritengo interessante evidenziarne – in questo frangente – la portata intellettuale, al servizio omogeneo o talvolta “disgiunto” del pensiero post-moderno. Questo aspetto viene rinsaldato non solo dalle forze politiche e quindi, partiti di rilievo della tradizione storica del secolo scorso che, hanno sposato il marxismo seppur in modo non propriamente ortodosso come nel caso di Filippo Turati, ma anche in significativi sigilli etici che persino la nostra Carta Costituzionale potrebbe convalidare in chiare sfumature con l’articolo 3, nel quale, si riscontra un ineccepibile richiamo a quei principi di uguaglianza giuridica e sociale tra le classi che il filosofo, nella metà dell’800, conferiva nei suoi scritti. Tuttavia, vi sono state, al contempo, delle sostanziali critiche al pensiero “marxista”, soprattutto in riferimento alla questione delle classi, che avrebbero dato luogo ad un vero e proprio scontro culturale integratosi nella storia del cosiddetto “socialismo ottocentesco”. Questo avvenne grazie al dissenso reciproco tra le posizioni tra Marx – promotore con il sodale Engels del Manifesto Comunista – che appunto poneva al centro delle risoluzioni “la lotta di classe” e l’abolizione della proprietà privata, con il più grande fautore, anch’esso teorico di alto rango dello spirito unitario della Repubblica Italiana, Giuseppe Mazzini, il cui il pensiero era molto influente nell’Europa di quegli anni. Da una parte il tedesco internazionalista, ateo, economista e materialista a sostegno dello scontro diretto e rivoluzionario con il potere borghese, dall’altra il repubblicano e patriota Mazzini, religioso e romantico umanista che, definiva necessario per il raggiungimento della giustizia sociale, optare per l’interclassismo democratico e l’associazionismo solidale piuttosto che l’equiparazione ed instaurazione di un’unica classe sociale dominante – il proletariato – ad esercitare il potere attraverso la dittatura e la statalizzazione dei beni e socializzazione dei mezzi produttivi. Posizioni molto distanti, pur partendo da un terreno comune, ossia la concezione dello stato teorizzata dal filosofo Hegel, come la concretizzazione dello spirito oggettivo che, avrebbe riunito la società, attraverso l’armonioso rapporto tra libertà e consapevolezza, al fine etico e alla coscienza morale propensa a soddisfare il bisogno dei singoli per il bene comune. Marx e Mazzini, seppur distanti e opposti da vincoli intellettuali diversissimi, si ritrovarono a condividere diverse similitudini; erano uniti dallo stesso ideale di emancipazione sociale come del resto l’indiscutibile contrapposizione al “liberalismo”. D’altronde, entrambi esuli politici nella Londra di allora, furono promotori insieme all’anarchico Bakunin, delle tre correnti di pensiero – socialista, anarchica e repubblicana – che contribuirono alla nascita dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, conosciuta come la “Prima Internazionale” fondata a Londra nel 1864. Al seguito certo, vi furono aspri scontri, taluni conditi anche da forti intermezzi spregiativi; pungenti critiche che entrambi facevano per interposta personale, con scritti e documenti o corrispondenze giornalistiche. Il resto è storia! Con la nuova aria che tira, in prossimità della crisi sistemica che interessa la società globale del primo ventennio del nuovo millennio, sarebbe interessante o talvolta opportuno ritrovare dei comitati civici attivi e partecipativi, rappresentare nelle modernizzate aule congressuali le difficoltà riflesse sul tema del lavoro. Disquisire sul dato oggettivo e concreto dei pensatori del passato, assorbirne l’essenza, studiarne con appropriate analisi il frutto della ricchezza storica e filosofica che una certa e sedicente sinistra sembra aver smarrita dal dibattito pubblico e dai suoi programmi. Completamente!
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